Marco D'Eramo: Primarie 2008. La strana geografia politica del supervoto

07 Febbraio 2008
Il ‟supermartedì” 5 febbraio, il primo scontro su scala nazionale in quest'annata presidenziale, ci ha fornito un sacco di indicazioni contrastanti. Si tenevano primarie democratiche in 22 stati (oltre a Samoa e cittadini residenti all'estero) che dovevano designare 2.064 delegati, il 52% del totale, per la Convention nazionale di Denver in Colorado (25-28 agosto), e repubblicane in 21 stati per designare il 41% dei delegati alla Convention nazionale di Minneapolis in Minnesota (1-4 settembre).
Tra i democratici, gli ultimi sondaggi di lunedì davano il senatore dell'Illinois, Barack Obama, in procinto di scavalcare la senatrice dello stato di New York, Hillary Rhodam Clinton, e anzi molti predicevano sottovoce un suo sfondamento clamoroso. Lo sfondamento non c'è stato. Al contrario, rispetto ai pronostici, Hillary ha conquistato alcuni stati decisivi. A causa del fuso orario, la prima vittoria significativa le è venuta dal Massachusetts, i cui due senatori democratici, John Kerry e Ted Kennedy, avevano sponsorizzato con molto clamore Obama: a Boston quella di Clinton è stata una vittoria contro i Kennedy. L'ultima vittoria, e la più importante, è venuta dallo stato più popoloso (32 milioni di abitanti), la California, in cui gli ultimi conteggi danno HIllary al 51,9% contro il 42,3% di Obama.
Tra i due fusi orari, e tra le due coste, si è delineata una curiosa geografia politica. Hillary ha stravinto in tutto il nord-est (stato di New York, Delaware, New Jersey), con la notevole eccezione del Connecticut in cui Obama la precede di 4 punti. Altrettanto scontata la vittoria, con larghissimi margini ( 63% a 34%), di Obama nel suo stato di rappresentanza, l'Illinois. Vittoria per Obama, quasi per KO tecnico, anche in Georgia e Alabama a forte densità nera, con però la vittoria di Hillary in un altro stato sudista, il Tennessy. Ma le due indicazioni più curiose sono venute da Midwest, Montagne Rocciose e Sud. Hillary Clinton ha vinto in tutti gli stati dove gli ispanici contano molto (e questo è vero in larga misura per la California, dove infatti i latinos hanno votato per Hillary in misura di due contro uno): significativo è il voto in Arizona. Un'eccezione è il New Mexico, dove Obama ha vinto per un pelo, (49% a 48%), ma per la ragione seguente.
In sei stati infatti i democratici votavano martedì nei caucus, nelle assemblee di quartiere, in cui si discute e si vota per alzata di mano, invece che nei seggi e col voto segreto nelle urne come nelle altre primarie. Ora proprio in tutti gli stati in cui si è votato con il sistema del caucus Obama ha vinto, anzi stravinto (80 % in Idaho, 74% in Alaska e in Kansas, 67% in Colorado, 61% in North Dakota), tranne appunto che in New Mexico dove il caucus è stato bilanciato dal voto ispanico per Hilary e dove dunque Obama ha solo vinto di misura. Una riprova si ha dall'Oklahoma, altro stato del Midwest dove non c'era il caucus e dove Hillary ha vinto facile (naturalmente l'Arkansas non conta perché è lo stato di cui fu governatore Bill Clinton, prima di assurgere alla presidenza).
Perché mai il sistema del caucus ha favorito Obama (come d'altronde era già avvenuto in Iowa), mentre il tradizionale voto segreto favorisce Hillary (come era successo in New Hampshire)? Per vincere nel caucus è decisiva una mobilitazione capillare, porta a porta, che richiede un gran numero di attivisti e volontari: e il campo di Obama ne dispone con larghezza, vista la mobilitazione che suscita tra i giovani e i giovanissimi, tra gli universitari che partono dai campus di Chicago e delle altre grandi città per andare a fare propaganda nelle lande sperdute del North Dakota o del Colorado. Dove invece vale il voto segreto, conta assai più l'influenza dell'apparato, il ruolo dei sindacati, la sagacia mass-mediatica dei consulenti per gli spot televisivi, tutti fattori che pendono dalla parte di Rhodam Clinton.
Resta poi il discorso sui delegati: mentre infatti è facile sapere quale percentuale di votanti ha scelto l'uno o l'altra in ogni stato, assai più arcano è decifrare quanti saranno i delegati effettivamente conquistati dall'uno e dall'altra, viste le regole astruse e arzigogolate che ne determinano la scelta. Mentre andavamo in macchina, i grandi organi d'informazione attribuivano a Hillary 845 delegati contro i 765 di Obama. Ma già il campo di Obama reclamava tra gli 840 e i 850 delegati per sé contro gli 820-830 per la Clinton. Sono disquisizioni di lana caprina che ci dicono una cosa sola: che la lotta all'ultimo delegato continuerà e che ogni decisione sarà rimandata almeno fino a marzo, quando avranno votato altri grandi stati come Ohio e Texas, se non fino a giugno, alle ultime primarie, con la possibilità che il vero show-down avvenga in piena Convention.
Diversa naturalmente la situazione in campo repubblicano, dove il senatore dell'Arizona John McCain ha vinto 9 stati (tra cui i più grandi: California, New York e Illinois), mentre il mormone Mitt Romney ha vinto 6 stati (tutti nelle Montagne Rocciose, tranne il Massachusetts di cui è stato governatore). Il candidato dei conservatori cristiani, l'ex governatore dell'Alabama (oltre che rockettaro e fan dell'attore Chuck Norris) Mike Huckabee ha stravinto in 6 stati della Bible Belt. Va comunque sottolineato lo straordinario risultato ottenuto dal candidato ultralibertario Paul Ron in Montana e in Alaska dove è andato al 20 %. Solo il meccanismo maggioritario, secondo cui chi arriva primo in uno stato, anche col 33 contro il 32 (come è successo in Missoluri), si prende tutti i delegati dello stato, assicura la confortevole vittoria di McCain e la sua prospettiva di ottenere la nomination. Ma la matematica politica non funziona per via maggioritaria e la variegata geografia del voto repubblicano mostra che per lui il cammino è più arduo di quel che pare.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …