Gianfranco Bettin: L’assassinio di Nicola Tommasoli. Natural born nazi

06 Maggio 2008
Hanno allevato la bestia per anni, l'hanno nutrita di odio, aizzata con parole e metafore, facendo i finti tonti sul nesso tra parole e fatti, tra metafore e gesti. L'hanno allevata così, chiudendo occhi e orecchi quando mordeva gli ‟altri”. Ora che, a morte, ha colpito ‟uno di noi”, ora che la bestia è uscita dal recinto in cui si poteva tollerarla e magari utilizzarla - con le sue prepotenze, le sue aggressioni squadristiche, la sua presunzione d'impunità - ora che sul ‟suolo natio” ha sparso il ‟sangue nostro”, nessuno la conosce più come figlia propria.
Il retaggio di questa intima conoscenza, tuttavia, si rivela, nitido, in molti commenti della destra veronese e veneta, nel tentativo di ridurre l'aggressione omicida a ragazzata finita male o a mera bravata di deficienti o a effetto di un vuoto di valori. Cazzate, o, appunto, istintiva, se non cosciente, volontà di sradicare l'accaduto dal suo autentico terreno di maturazione. Questi giovani sono tutt'altro che vuoti di valori. Ne sono invece pieni: danno valore alla forza, alla violenza celebrata e praticata, all'onore che deriva dalla sua cameratesca condivisione, ai miti pagani e/o cristiani o al ciarpame che gli spacciano per tali, all'ordine gerarchico e allo spazio vitale di cui si sentono guardiani. È una predicazione attiva quella di cui sono stati bersaglio, a Verona come sulla scena nazionale, dove questi stessi ‟valori” vengono correntemente spacciati e dove il linguaggio delle armi ‟nostrane” e dello stigma da imprimere agli ‟altri” è corrente, anche da scranni istituzionali. Una predicazione che li ha raggiunti fin dai primissimi anni, fino a fargli sentire come naturale e legittimo questo modo di essere, certo rielaborato a modo proprio e portato all'estremo, ma niente affatto alieno dal contesto. Alieni sono gli altri, quelli da cacciare.
‟Natural born nazi”, checché ne dica Fini, che non vede in loro contenuti ideologici e antisemiti e per questo sembra reputare più gravi dei fatti di Verona quelli di Torino in cui sono state bruciate le bandiere israeliana e americana. E nemmeno ‟deficienti”, ma perfettamente integrati nella società locale: un bravo pargolo di buona famiglia, un metalmeccanico, un promotore finanziario, ad esempio, come quelli che hanno aggredito e ucciso Nicola. C'è da scommettere che, a parte che erano nazistoidi, e che andavano in curva con gli ultras veronesi, a parte che avevano accumulato una ricca esperienza di violenze e prepotenze, a parte questo, c'è da scommettere che per tutti erano dei ‟bravi ragazzi” e che nessuno ‟l'avrebbe mai detto”.
C'è da stare sicuri che un sacco di gente sapeva benissimo che cosa combinavano in curva a danno di immigrati e di avversari politici, e che cosa poteva costare incrociarli nelle zone che consideravano territori propri. Lo sapevano, ma non gli creava problemi. Non era ancora morto nessuno, e per di più si trattava di vittime ‟aliene”. Non contavano.
Dicono, da destra, che l'aggressione omicida non aveva contenuto politico: in un certo senso è vero, ma ciò la rende ancora più inquietante. Perché gratuita espressione di un puro odio cresciuto così tanto da farsi indiscriminato: vomita addosso a chiunque il veleno diffuso per anni nell'aria, e conferma l'antica terribile legge per cui chi offende e perseguita i diversi, i deboli, gli ‟altri”, prima o poi offenderà e perseguiterà tutti.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …