Gad Lerner: Libano. Nasrallah il tattico
12 Maggio 2008
Gli sciiti che per la prima volta nella storia hanno dimostrato di dominare la più europea fra le capitali arabe, temono essi stessi la fitna, il caos che la loro forza eccessiva rischia di provocare.
E ciò spiega il loro ripiegamento dopo la plateale umiliazione inflitta al governo Siniora. La scelta di obbedire alle direttive dell’esercito, dopo che il generale Suleiman ha platealmente delegittimato l’esecutivo protetto dagli occidentali, corrisponde alla particolarissima natura di questo movimento, integralista ma conscio di operare in una polveriera. Neanche per Hezbollah è desiderabile l’esplosione dell’ultimo lembo di terra plurale, multiconfessionale, sopravvissuto al tempo dei nazionalismi e delle pulizie etniche sulla sponda sud del Mediterraneo. Preservarlo non è solo esigenza romantica, nostalgia delle tante patrie che arricchivano l’impero ottomano e rendevano i popoli della Montagna proverbiali per raffinatezza. Se la regola della contrapposizione religiosa, inesorabile nel Medio Oriente contemporaneo, dovesse ripiombare il Paese dei cedri nella guerra civile, stavolta le conseguenze sarebbero ancora più devastanti. Non più cristiani maroniti contro musulmani sunniti e drusi, come nel quindicennio di sangue 1975-1990. Nel Libano 2008 il rischio è l’escalation di quella faida regionale tra musulmani sunniti e musulmani sciiti che dilaga oltre l’Iraq verso il Golfo, ma già insidia pure i confini europei.
Del mosaico etnico libanese, gli sciiti rappresentano da sempre gli strati subalterni, esclusi dalla pubblica amministrazione e vessati dal fisco. La Beirut levantina e smagliante che ora tengono in scacco, li contemplava solo nelle vesti umili degli scaricatori di porto e del commercio ambulante. Innocui mistici e contadini meridionali, finché la rivoluzione iraniana del 1979 ha fornito loro senso di superiorità e la demografia li ha moltiplicati. Mentre diciotto anni di sciagurata, autolesionistica occupazione israeliana nel Sud ha generato per reazione l’esercito degli Hezbollah. Così questi leader istruiti e armati dall’Iran riescono a presentarsi come gli unici, veri patrioti libanesi incorruttibili e a riscuotere inaspettate alleanze in campo cristiano. Quale miglior credenziale della neutralità con cui si sono mantenuti fuori da quell’atroce guerra intestina, la cui memoria è ancora freschissima, costata un numero di morti impressionante: più del doppio delle centomila vittime di un intero secolo di conflitto arabo-israeliano.
Anche stavolta si è rivelato vincente il gioco d’equilibrio ideato dallo sceicco Nasrallah fra dominio territoriale e schermaglia parlamentare, appoggiandosi alla Siria e sempre preparandosi a un attacco israeliano. Ma basta un nulla perché la situazione degeneri, a prescindere dalla sua volontà di accorto provocatore. Paradossalmente è l’impotenza della leadership sunnita il premier Fuad Siniora che piace agli occidentali, e il giovane Saad Hariri che rappresenta gli interessi finanziari sauditi a rendere temeraria l’azione degli Hezbollah. Non so in base a quale misterioso affidavit il governo Siniora abbia intrapreso con gli sciiti il fallimentare braccio di ferro, tentando invano di sottrarre loro la rete di telecomunicazioni e il controllo dell’aeroporto, senza essere assolutamente in grado di farsi obbedire. Fatto sta che la mossa è stata talmente maldestra da costringere Siniora dopo la fulminea umiliazione inflittagli sul terreno dagli Hezbollah a protestare per televisione contro il generaleSuleiman, capo delle forze armate statali, in teoria a lui sottoposte.
Quelle migliaia di giovanissimi miliziani sciiti dotati di kalashnikov nuovi di zecca e gipponi blindati che hanno presidiato per trentasei ore ogni angolo dei quartieri sunniti, compreso Hamra con i suoi locali notturni, le zone del business multinazionale, la tv degli Hariri, rischiano d’innescare spirali di vendetta incontrollabili. Penso ai ragazzi sunniti che nei cortei funebri gridavano rivolti al capoclan: «Saad, tu hai un popolo che beve sangue!». Ma penso anche alla devozione di cui gode il principe dei drusi, Walid Jumblatt: mesi fa avevo assistito alla preveggente blindatura della sua abitazione in rue Clemenceau. Assediato lì dentro, lontano dal palazzo sullo Chouf, ha rischiato di essere la prima vittima sacrificale di una coalizione prossima allo smantellamento. Sostenendola, americani e francesi sono incorsi nell’ennesimo fallimento diplomatico mediorientale. Col rischio che l’umiliazione rinfocoli gli scontri là dove già da anni si susseguono, cioè nell’unico luogo frequentato contemporaneamente da giovani sunniti e sciiti: l’università statale.
Lo sceicco Nasrallah ha confermato di essere un tattico rinomato, ben lungi dalle caricature grossolane della stampa occidentale. Ostile ai palestinesi quasi come agli israeliani, prudente nella relazione con Damasco, difficilmente però riuscirebbe a smarcarsi se l’interesse di Teheran fosse quello di scatenare una ritorsione diversiva alle costole di Bush. Il Libano potrebbe trovarsi così a vivere l’ennesima guerra intestina per conto dei suoi vicini.
Se oggi tiriamo un sospiro di sollievo è perché a loro stessi riesce inimmaginabile una Beirut sottomessa ai "barbuti". Dovrebbero raderla al suolo per l’ennesima volta. Domare l’emancipazione creativa delle sue donne straordinarie. Censurare la stampa più libera del Medio Oriente. Prosciugare i flussi d’investimento dei petrodollari. Ma soprattutto misurarsi con una nevrosi mai guarita dal tempo della guerra civile descritta magistralmente nei romanzi di Elias Khouri e delle sorelle Barakat tuttora capace di prodursi in crudeltà inaudite.
Nessuno in Libano lo vuole. Ma nessuno è in grado di impedirlo se non scendendo a patti con gli Hezbollah.
E ciò spiega il loro ripiegamento dopo la plateale umiliazione inflitta al governo Siniora. La scelta di obbedire alle direttive dell’esercito, dopo che il generale Suleiman ha platealmente delegittimato l’esecutivo protetto dagli occidentali, corrisponde alla particolarissima natura di questo movimento, integralista ma conscio di operare in una polveriera. Neanche per Hezbollah è desiderabile l’esplosione dell’ultimo lembo di terra plurale, multiconfessionale, sopravvissuto al tempo dei nazionalismi e delle pulizie etniche sulla sponda sud del Mediterraneo. Preservarlo non è solo esigenza romantica, nostalgia delle tante patrie che arricchivano l’impero ottomano e rendevano i popoli della Montagna proverbiali per raffinatezza. Se la regola della contrapposizione religiosa, inesorabile nel Medio Oriente contemporaneo, dovesse ripiombare il Paese dei cedri nella guerra civile, stavolta le conseguenze sarebbero ancora più devastanti. Non più cristiani maroniti contro musulmani sunniti e drusi, come nel quindicennio di sangue 1975-1990. Nel Libano 2008 il rischio è l’escalation di quella faida regionale tra musulmani sunniti e musulmani sciiti che dilaga oltre l’Iraq verso il Golfo, ma già insidia pure i confini europei.
Del mosaico etnico libanese, gli sciiti rappresentano da sempre gli strati subalterni, esclusi dalla pubblica amministrazione e vessati dal fisco. La Beirut levantina e smagliante che ora tengono in scacco, li contemplava solo nelle vesti umili degli scaricatori di porto e del commercio ambulante. Innocui mistici e contadini meridionali, finché la rivoluzione iraniana del 1979 ha fornito loro senso di superiorità e la demografia li ha moltiplicati. Mentre diciotto anni di sciagurata, autolesionistica occupazione israeliana nel Sud ha generato per reazione l’esercito degli Hezbollah. Così questi leader istruiti e armati dall’Iran riescono a presentarsi come gli unici, veri patrioti libanesi incorruttibili e a riscuotere inaspettate alleanze in campo cristiano. Quale miglior credenziale della neutralità con cui si sono mantenuti fuori da quell’atroce guerra intestina, la cui memoria è ancora freschissima, costata un numero di morti impressionante: più del doppio delle centomila vittime di un intero secolo di conflitto arabo-israeliano.
Anche stavolta si è rivelato vincente il gioco d’equilibrio ideato dallo sceicco Nasrallah fra dominio territoriale e schermaglia parlamentare, appoggiandosi alla Siria e sempre preparandosi a un attacco israeliano. Ma basta un nulla perché la situazione degeneri, a prescindere dalla sua volontà di accorto provocatore. Paradossalmente è l’impotenza della leadership sunnita il premier Fuad Siniora che piace agli occidentali, e il giovane Saad Hariri che rappresenta gli interessi finanziari sauditi a rendere temeraria l’azione degli Hezbollah. Non so in base a quale misterioso affidavit il governo Siniora abbia intrapreso con gli sciiti il fallimentare braccio di ferro, tentando invano di sottrarre loro la rete di telecomunicazioni e il controllo dell’aeroporto, senza essere assolutamente in grado di farsi obbedire. Fatto sta che la mossa è stata talmente maldestra da costringere Siniora dopo la fulminea umiliazione inflittagli sul terreno dagli Hezbollah a protestare per televisione contro il generaleSuleiman, capo delle forze armate statali, in teoria a lui sottoposte.
Quelle migliaia di giovanissimi miliziani sciiti dotati di kalashnikov nuovi di zecca e gipponi blindati che hanno presidiato per trentasei ore ogni angolo dei quartieri sunniti, compreso Hamra con i suoi locali notturni, le zone del business multinazionale, la tv degli Hariri, rischiano d’innescare spirali di vendetta incontrollabili. Penso ai ragazzi sunniti che nei cortei funebri gridavano rivolti al capoclan: «Saad, tu hai un popolo che beve sangue!». Ma penso anche alla devozione di cui gode il principe dei drusi, Walid Jumblatt: mesi fa avevo assistito alla preveggente blindatura della sua abitazione in rue Clemenceau. Assediato lì dentro, lontano dal palazzo sullo Chouf, ha rischiato di essere la prima vittima sacrificale di una coalizione prossima allo smantellamento. Sostenendola, americani e francesi sono incorsi nell’ennesimo fallimento diplomatico mediorientale. Col rischio che l’umiliazione rinfocoli gli scontri là dove già da anni si susseguono, cioè nell’unico luogo frequentato contemporaneamente da giovani sunniti e sciiti: l’università statale.
Lo sceicco Nasrallah ha confermato di essere un tattico rinomato, ben lungi dalle caricature grossolane della stampa occidentale. Ostile ai palestinesi quasi come agli israeliani, prudente nella relazione con Damasco, difficilmente però riuscirebbe a smarcarsi se l’interesse di Teheran fosse quello di scatenare una ritorsione diversiva alle costole di Bush. Il Libano potrebbe trovarsi così a vivere l’ennesima guerra intestina per conto dei suoi vicini.
Se oggi tiriamo un sospiro di sollievo è perché a loro stessi riesce inimmaginabile una Beirut sottomessa ai "barbuti". Dovrebbero raderla al suolo per l’ennesima volta. Domare l’emancipazione creativa delle sue donne straordinarie. Censurare la stampa più libera del Medio Oriente. Prosciugare i flussi d’investimento dei petrodollari. Ma soprattutto misurarsi con una nevrosi mai guarita dal tempo della guerra civile descritta magistralmente nei romanzi di Elias Khouri e delle sorelle Barakat tuttora capace di prodursi in crudeltà inaudite.
Nessuno in Libano lo vuole. Ma nessuno è in grado di impedirlo se non scendendo a patti con gli Hezbollah.
Gad Lerner
Gad Lerner è nato a Beirut nel 1954 da una famiglia ebraica e a soli tre anni si è dovuto trasferire a Milano. Come giornalista, ha lavorato nelle principali testate …