Marco D'Eramo: Primarie USA. Un'altra quasi-vittoria per Obama. Ma ha un problema

22 Maggio 2008
Dopo l'ultima tornata di primarie, ieri Barack Obama ha dichiarato: ‟La nomination è a portata di mano”. Ma non vi sembra di averla già sentita? Ogni volta, da mesi, Obama sta per infliggere il ko ma Hillary Rodham Clinton non si ritira mai e tutto è rinviato alla tornata successiva (ormai restano solo tre primarie: South Dakota, Montana e Portorico il 3 giugno). Lo stesso è successo martedì: il senatore democratico dell'Illinois ha vinto in Oregon (58% dei voti contro 42%), mentre la senatrice dello stato di New York ha trionfato in Kentucky (65% contro 30%).
In termini numerici, ogni volta Obama è più vicino alla vittoria, e questa volta quasi ci siamo: oggi Clinton ha l'appoggio del 48% dei delegati, Obama del 52%: per perdere la nomination, Obama dovrebbe ottenere solo il 6% dei prossimi delegati in palio e Hillary vincerne il 94%. A stare ai numeri, Hillary Clinton dovrebbe essersi ritirata già da un bel po', tanto più che la sua campagna è quasi alla bancarotta: ha già fatto debiti per 31 milioni di dollari, la stessa somma che invece Obama ha raccolto nel solo ultimo mese.
Lo stesso scenario si ripete ormai da febbraio. Ma non sempre quel che si ripete si rassomiglia. È significativo infatti che martedì sera Obama abbia rinviato il ‟discorso della vittoria” e in Iowa abbia parlato solo di ‟a portata di mano”. Perché, mano mano che per lui la matematica migliora, la spinta politica si sgonfia. Se infatti era comprensibile che molti stati continuassero a votare per Hillary quando la battaglia era ancora incerta, assai meno prevedibile era che altri stati si ‟intestardissero” a votare per lei a partita ormai praticamente persa. Quel che prima era solo una scelta dell'elettore diventa ora un chiaro messaggio di scontento del militante democratico nei confronti della probabile nomination. Paradossalmente, a ogni tornata e a ogni piccola vittoria di Hillary, la prospettiva politica si deteriora per Obama, malgrado sia sempre più sicuro di affrontare lui a novembre il senatore dell'Arizona John McCain.
In politica è decisivo quel che gli anglosassoni chiamano momentum - che in fisica si chiama ‟impulso” -, la spinta che alimenta se stessa, quando ogni vittoria rende più agevole la vittoria successiva. Ora, il principale problema politico per Obama - e in prospettiva per tutto il partito democratico - è che ormai da marzo Barack non usufruisce più dei vantaggi che gli dovrebbe procurare il suo momentum: l'impressionante valanga di vittorie di febbraio non ha trascinato un'identica serie di successi nei mesi successivi, anzi. Vuol dire che nella base democratica cresce l'ostilità nei suoi confronti. Le ragioni di questa resistenza sono note e non tutte nobili: oltre al già evidente spartiacque generazionale sta emergendo una frattura non più tra razza e genere, ma tra razza e classe, con i bianchi poveri sempre più ostili al liberal afroamericano. Ecco la principale ragione per cui Hillary non si è ancora ritirata e non ha nessuna intenzione di farlo fino a giochi conclusi (oltre naturalmente alla volontà di contrattare in termini politici la buonuscita, facendo pesare la minaccia di una convention spaccata quasi a metà). D'altronde, se non si è ritirata sino a ora, sarebbe sciocca a farlo proprio adesso.
Obama è ben conscio della difficoltà ed è proprio per questo che, invece di spedire i suoi attivisti negli ultimi terreni di scontro, li sta dirottando in Florida dove ha mandato nei giorni scorsi 15 membri del suo staff e dove fanno propaganda 500 suoi sostenitori. In Florida si celebrò nel 2000 la rocambolesca sconfitta di Al Gore, grazie a uno scippo perpetrato dalla Corte suprema degli Stati uniti. La Florida è lo stato le cui primarie (per ragioni procedurali di calendario) sono state invalidate dal partito e i cui delegati quindi non avranno diritto di voto alla convention, nonostante a gennaio avessero votato quasi due milioni di cittadini che avevano dato la vittoria a Clinton (vittoria non conteggiata, come pure quella in Michigan). Ed è quasi sicuro che Clinton cercherà fino all'ultimo di far restituire il diritto di voto ai delegati di questi due stati. Ma soprattutto la Florida, con i suoi 27 grandi elettori, è uno stato in cui Hillary Clinton è favorita nei confronti di McCain, mentre Obama parte perdente. Lo stesso avverrebbe in un altro stato in bilico, l'Ohio (che nelle primarie ha votato per Clinton). Più in generale, secondo le previsioni attribuite all'ex consigliere di Bush e artefice delle due ultime vittorie repubblicane, Karl Rove, il 4 novembre Hillary Clinton avrebbe un comodo margine di vittoria - quanto a grandi elettori - su McCain, mentre Obama partirebbe in svantaggio. Ma il gioco duro deve ancora cominciare.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …