Marco D'Eramo: New York prigioniera del sospetto. Chiunque può essere un nemico

12 Settembre 2008
A sette anni dall'attentato dell'11 settembre 2001, si può dire che mai tanti pochi morti hanno provocato così grandi cambiamenti in tutto il mondo: rispetto alle carneficine della prima e seconda guerra mondiale, sono un'inezia i 2.993 periti (compresi i 19 dirottatori) quel giorno nelle Twin Towers di New York, in un'ala del Pentagono e in un aereo precipitato in Pennsylvania. Per il nuovo ordine mondiale seguito al 1945 ci erano voluti più di 50 milioni di vite, qui 2.993 decessi sono stati sufficienti a scatenare due guerre, a delineare una nuova geopolitica, a revocare legislazioni secolari. Come basta un modestissimo sforzo a sollevare un macigno se si dispone di una leva con un braccio abbastanza lungo, così quei ‟soli” 3.000 morti sono stati applicati alla leva della comunicazione globale, del disastro in diretta, dei maxischermi in un tutto il pianeta a mostrare il crollo del World Trade Center. Come ci fu l'epoca della Riforma o quella dell'Illuminismo, così gli storici ricorderanno la nostra come l'epoca della ‟guerra al terrore”. E si chiederanno cosa mai significasse davvero quest'espressione. Nei sette anni di ‟guerra al terrore”, le vittime più numerose sono state le libertà civili, le garanzie democratiche, la privacy dei cittadini. E l'epicentro di questo terremoto sono stati gli Usa, seguiti a ruota dalla Gran Bretagna. Nelle mitiche democrazie anglosassoni è stato in pratica abolito l' habeas corpus che di queste democrazie era il vanto principale: cioè il divieto di mantenere qualcuno in prigione senza motivato mandato di un giudice. L'uso della tortura s'è insinuato in modo ipocrita, prima come tecnica eccezionale, chiamata con un eufemismo ‟interrogatorio estremo”, poi rivendicata come strumento indispensabile nella guerra al terrore. In base al Patriot Act (ottobre 2001) è del tutto possibile che mentre tu ceni a casa tua a Mestre, Barletta o San Gimignano, qualcuno irrompa in casa tua, ti sequestri, ti metta su un aereo che ti scarichi nella base di Diego Suarez e che lì tu venga giudicato da un tribunale militare, in segreto, senza diritto di appello e lì tu venga condannato a morte e la condanna sia eseguita e tu scompaia dalla faccia della terra senza che nessuno sappia mai dove sei finito e perché non si hanno più tue notizie. A poco a poco la cultura dell'intercettazione e del sospetto si è diffusa sottopelle in tutta la società americana. Dopo l'11 settembre a essere passati contropelo negli aeroporti erano solo i viaggiatori visibilmente medio-orientali o pakistani: ora qualunque straniero è oggetto di racial profiling. Il fatto che un esercito americano stia combattendo da 7 anni in Afghanistan e da quattro in Iraq è quasi rimosso, ricordato ogni tanto, con lo stesso fastidio con cui un fumatore riconosce i danni del fumo. Dopo un periodo in cui sono usciti parecchi film sulle renditions e sulla guerra, ora i cinema ne proiettano solo uno, ambiguo - The Traitor -, in cui il protagonista è guarda caso un nero americano di fede islamica impegnato infiltrato in un gruppo di terroristi. Persino l'amministrazione Bush ha (per il momento) smesso di diramare allarmi attentati in date accuratamente scelte per avere un impatto politico. La guerra emerge sempre più di rado in superficie, ma la sua presenza sotterranea condiziona anche gli atteggiamenti quotidiani. Nel linguaggio comune, islamismo è ormai sinonimo di terrorismo. Nessun candidato può presentarsi se non come ‟candidato di guerra”: l'unica differenza fra Barack Obama e John McCain è che per Obama non è l'Iraq la guerra da combattere, ma l'Afghanistan (una tesi che l'amministrazione Bush comincia a condividere). Sulle intercettazioni Obama ha votato a favore di una legge che ha garantito l'impunità alle compagnie telefoniche che avevano messo i propri tabulati a disposizione del governo senza nessun mandato del giudice. Così il paese è piombato in una mentalità di guerra indefinita in cui chiunque può di botto diventare il nemico: per aver votato all'Onu contro la guerra, nel 2003 da un giorno all'altro la Francia divenne il peggiore nemico che gli Usa avessero mai avuto e furono adottate le stesse tecniche usate contro la Germania imperiale nella prima guerra mondiale: nel 1914-'18 i salsicciotti frankfurter divennero hot dogs , i crauti liberty cabbage, la cotoletta alla viennese il liberty steak, proprio come nel 2003 il governo suggerì di cambiare le french fries (patatine fritte) in liberty fries. Per tre anni nei film di azione e spionaggio di Hollywood il vilain fu sempre un francese. In quest'atmosfera di guerra tous azimuth, se non è l'Iraq, lo stato canaglia può essere il Venezuela, l'Iran o la Corea del Nord, o - perché no - la Russia, come si è visto negli ultimi giorni. Per valutare l'entità e la profondità dei cambiamenti avvenuti nella psicologia di massa, basta la battuta di Sarah Palin più citata e che ha avuto più successo: ‟Qual è la sola differenza tra una mamma americana e un pit bull ?” ha chiesto la candidata repubblicana alla vicepresidenza. La risposta è: ‟Il rossetto”. Prima dell'11 settembre sarebbe stato impensabile paragonare una mammina a un rottweiler. Ora è diventato un complimento.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …