Marco D'Eramo: Presidenziali USA. America oggi

04 Novembre 2008
Oggi l'America vota. E vota contro la storia. Vota per eleggere un presidente nero (che ironia, se vincitore, occuperà la Casa bianca) in un paese fondato su tre secoli di schiavismo, marcato da un secolo di segregazione, un paese in cui ancora oggi i neri sono oggetto del più grande internamento della storia: sono il 12% degli statunitensi, ma il 55 % dei carcerati Usa. Un'eventuale elezione di Obama non cambierà il destino di questi detenuti, ma sarebbe un segnale impensabile non solo 40 anni fa, quando fu ucciso Martin Luther King, ma anche 20 anni fa quando fu stoppata la forte candidatura di Jesse Jackson. Quello di oggi è un referendum non solo sull'economia, ma sul peso reciproco tra portafoglio e pregiudizi. È un referendum sul razzismo. È questo referendum che ci tiene in ansia. Ma mai come in questa elezione è stato in gioco il genere, declinato in modi opposti da Hillary Clinton e Sarah Palin, coniugato rispetto alla razza dall'una e in ossequienza ai valori patriarcali dall'altra. Il genere non è scomparso con le primarie, ma anche su di esso si vota oggi.
Infine, mai come in questa elezione è stata in gioco - parola oscena, espunta dai dizionari - la classe. Dopo aver condotto per trent'anni la più spietata guerra di classe della storia Usa, da mesi i repubblicani accusano senza sosta i democratici di classismo. Certo è che John McCain è la caricatura del capitalista impegnato a garantire che - nel paese più ineguale della storia umana - non s'inaridisca il fiotto dei dividendi e della cedole. In Italia è difficile percepire la violenza di questo scontro di classe, ma i delegati repubblicani che alla Convention cantavano «drill, baby, drill!» (trivella, bellezza, trivella!) sembravano una parodia indecente del partito asservito agli interessi del petrolio e alle Sette Sorelle.
Questo scontro di classe passa inosservato da noi, dove sia Berlusconi, sia Veltroni si presentano come leader di schieramenti trans-inter-post-classisti, di un'Italia ormai purificata dal volgare conflitto di classe. McCain e i suoi hanno accusato il moderatissimo Obama di essere un socialista, anzi comunista. Ed è significativo come, anche prima dell'ultima crisi finanziaria, faccia di nuovo capolino questo termine «socialista» che sembrava ormai sepolto. Basta googlare per rendersene conto. Questo non vuol dire che gli Stati uniti sono alla vigilia del Sol dell'Avvenire, ma che è in crisi profonda l'egemonia ideologica del libero mercato, della deregulation (e noi dovremmo sfruttare questa debolezza).
Oltre a tutti questi temi, o proprio a causa di essi, oggi l'America vota anche contro i propri ultimi 40 anni. Da allora infatti i democratici hanno perso l'egemonia, non solo perché hanno tenuto la presidenza per soli 12 anni contro 28, ma perché, anche allora, sono stati prigionieri del neoliberismo repubblicano. Al 1964 risale infatti l'ultima ondata di marea democratica. Anche per questo oggi Obama si batte contro la storia.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …