Marco D'Eramo: Presidenziali USA. L'Arizona a secco - La crisi di un modello americano

04 Novembre 2008
Non so se piangere o ridere alla prima notizia che leggo su The Arizona Republic, sulla cui prima pagina campeggia con grande rilevo: ‟Crollano le vendite di piscine”. Veniamo a sapere che nella sola Maricopa County (la provincia di Phoenix), nel 2005 si erano vendute 23.749 piscine e quest'anno se ne sono vendute solo (fino a settembre) 5.401, con una proiezione per tutto il 2008 di 6.500 piscine, un crollo del 73%.
Viene da ridere perché con le borse mondiali che implodono, l'economia planetaria a rischio catastrofe, qui si preoccupano delle piscine. E invece, come mi diceva a Phoenix Emily Derose, giovane portavoce del Partito democratico dell'Arizona, il dato è molto serio perché qui una casa su due ha la piscina, pur se aggiunge: ‟Ma io non ce l'ho, io vivo in un condominio, a me della piscina non importa nulla”. Senatore dell'Arizona è John McCain, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati uniti.
È questa diffusione capillare delle piscine che fa piangere in una terra desertica come l'Arizona. Vien da pensare che non tutto il male vien per nuocere se la crisi attuale può mettere in discussione il modello di sviluppo che qui ha impazzato e ha fatto del Sud-ovest il modello da seguire per tutti gli Stati uniti. Un modello basato sulla crescita accelerata della popolazione, che in 18 anni è più che raddoppiata passando da 3 milioni di abitanti nell'88 a 6,2 nel 2006, a causa di una fortissima immigrazione, dal Messico certo (qui siamo lungo il confine meridionale), ma soprattutto un'enorme migrazione interna dal resto degli Stati uniti. La migrazione interna è stata storicamente costituita da componenti diverse, per motivi differenti.
In primo luogo l'Arizona contende ormai alla Florida il titolo di ‟primo gerontocomio d'America”. Quando guidi sull'autostrada, i veicoli che superi più spesso sono roulottes o camper (che spesso si trainano dietro un Suv, da usare quando il camper è posteggiato) guidati da anziani. Sono i cosiddetti snowbirds (‟uccelli da neve”): in autunno migrano a sud dal Canada, dal nord e dal Midwest degli Stati uniti per migrare di nuovo a nord alla fine della primavera. Solo gli snowbirds canadesi sono stati 13 milioni nel 2007. Si distribuiscono in tutta la Sun Belt (la cinta del sole), ma con particolare predilezione per la California meridionale, l'Arizona, il New Mexico, la Florida. Anche il Messico riscuote un certo successo, con 700.000 anziani che vi hanno svernato l'anno scorso. Vengono a sud per il clima caldo, ma non solo.
Oltre agli snowbirds, vi sono gli anziani che traslocano qui per trascorrere stabilmente gli ultimi anni della loro vita nelle ‟città per adulti” o nelle comunità per pensionati. Solo nell'area metropolitana di Phoenix vivono 400.000 di questi anziani. E con i suoi 50.000 residenti, Sun City è, a poche miglia a ovest di Phoenix, la più grande città del mondo riservata esclusivamente agli anziani (non può comprarvi una casa né risiedervi per più di 2 settimane chi ha meno di 55 anni). Si stabiliscono qui perché le abitazioni costano poco. A Phoenix case anche belle si vendono a 1.600 euro a mq. Poi perché le imposte sono basse: la tassa sul redddito prelevata dallo stato (che va aggiunta alle tasse esatte dal governo federale) va da un minimo del 2,5 % a un massimo del 4,5 %; e l'insieme delle tasse locali (statali, provinciali e comunali) non supera l'8,5 %. Infine, la vita costa meno che al nord. Il risultato è che le pensioni vengono pagate in Illinois, Michigan, Manitoba, Minnesota, British Columbia, e vengono spese qui nel sud.
Gli anziani sono una fetta importante dell'industria più importante dell'Arizona, e cioè il turismo. Non per nulla, il motto sulle targhe automobilistiche è ‟lo stato del Gran Canyon” (il simbolo sulla targa è però un cactus). Gran Canyon e Monument Valley costituiscono affollatissime mete del turismo mondiale, ma anche interno (nel 2006 sono giunti in Arizona 31 milioni di turisti statunitensi: per avere un'idea bisognerebbe fare il paragone con il turismo europeo in Italia).
Il basso livello di tassazione e la legislazione antisindacale attraggono inoltre molte imprese anche medio-piccole. Qui a Tucson, a 150 km dalla frontiera messicana (sotto Nogales), il più grande datore di lavoro è l'Università dell'Arizona (i cui edifici costituiscono praticamente tutto il centro città), seguita però dal gigante dell'industria bellica Ratheon Missiles.
Vi si sono stabilite anche altre imprese che dipendono dagli appalti militari, visto che Tucson è sede di una importante base dell'aeronautica, la Davis Monthan Air Force Base. Ma le basi sono distribuite in tutto lo stato. A Yuma per esempio, al confine con la California, c'è la Marine Corp Air Station che ospita il maggior centro di addestramento alle tecniche di anti-guerriglia. E subito accanto si estende fino al deserto di Sonora la sterminata base aerea dedicata a Barry Goldwater, senatore dell'Arizona, alfiere dell'estema destra e sconfitto candidato repubblicano alla presidenza, nel 1964, contro Lyndon Johnson.
Vi è però anche un'immigrazione giovane. Ne è un esempio la stessa Emily Derose che è nata in Minnesota, ha studiato a Chicago, suo marito è di origine italiana. Quando le chiedo perché si è trasferita qui, risponde: ‟Perché è uno stato in crescita, è uno stato giovane, ha un sacco di opportunità, ti sembra che tutto sia possibile, ti sembra soprattutto che tu possa plasmarlo, orientarne il futuro”.
Migrazione e crescita demografica si sono basate per decenni su uno sviluppo immobiliare infinito e su un modello urbanistico di ‟metropoli senza città”. Il paradosso quindi è che questo stato ha una bassissima densità di popolazione (ha la stessa superficie dell'Italia, ma dieci volte meno residenti), ma quasi il 90% dei suoi abitanti sono concentrati nelle tre maggiori (e sterminate, per estensione) aree metropolitane: Phoenix (4,2 milioni), Tucson (da pronunciare Tussòn, 720,000) e Mesa (450.000).
A vederla, Phoenix non esiste, è un'idea dello spirito: un insieme disgregato di sconfinati suburbi composti da interminabili schiere di villette unifamiliari, scanditi da centri commerciali, irrigati e traversati da innumerevoli autostrade, in uno sprawl urbano al cui confronto Los Angeles è un esempio di compattezza, di urbanità.
Ogni villetta è circondat da un praticello verde bene irrigato, in mezzo a un deserto. Perché la risorsa fondamentale su cui si è costruita la crescita vertiginosa di uno stato desertico come l'Arizona è l'acqua. Te ne accorgi sull'autostrada I-8 che da San Diego in Califonia ti porta in Arizona. Quando scendi giù dalle montagne, si apre il deserto, un vero deserto, con i mulinelli di sabbia che vorticano sull'autostrada, ti oscurano la vista, fino a nasconderti le auto davanti, in una nebbia sabbiosa, fino ad arrivare a Yuma (sì proprio la città del film Ultimo treno per Yuma) che è circondata da agrumeti, frutteti, piantagioni di cotone e di cereali, e ti chiedi con quale acqua: quella dei canali che la dirottano dal fiume Colorado che qui è già ridotto a un rigagnolo. Questo fiumiciattolo ti fa pena quando lo paragoni all'imponente, tumultuoso corso d'acqua che ti aveva intimorito nel Gran Canyon. Ma da allora il Colorado è stato drenato dell'acqua convogliata verso Los Angeles, verso Phoenix e verso Tucson, il cui fiume Ranta Rosa è ormai secco per gran parte dell'anno, mentre un tempo scorreva per tutti i 12 mesi.
Il povero Colorado deve placare la sete di una popolazione crescente, di un'agricoltura dissennata (il prezzo salatissimo di quell'assurdo mito della modernità che è ‟l'aranceto nel deserto”), delle ubbìe di citttadini ricchi e viziati, come per esempio gli innumerevoli campi da golf: se ne contano più di 310 in tutta l'Arizona, di cui più di 200 nella ‟Valle” (l'area di Phoenix). Ogni campo consta di 5-10 ettari di terreno che vanno irrigati giornalmente, in mezzo alla sabbia del deserto. È un insulto alla natura che grida vendetta.
Ma adesso, su un'economia basata in gran parte sulla crescita ininterrotta e quindi sul settore edilizio, la crisi si è abbattuta come un tornado. Mi dice Mark Kimble, condirettore del quotidiano Tucson Citizen: ‟La crescita si è rotta. La costruzione di nuove case è calata del 60 percento, e i prezzi scesi del 20 percento. Per circa 30 anni l'Arizona è stata, tra i 50 stati degli Usa, uno dei tre a creare più posti di lavoro. Ancora nel 2006 era il numero due. Nel 2007 eravamo scesi al 22-esimo posto, ma quest'anno siamo scesi al 46-esimo, insieme a Michigan e Ohio, che sono al cuore della deindustrializzazione”. Ogni giorno si leggono notizie del tipo ‟Quest'anno chiuderanno 700 concessionari di auto”, o ‟Il deficit di bilancio dello stato raggiunge livelli storici”.
Chiedo a Mark se questa non è la buona occasione per ripensare il modello di sviluppo anche qui a Tucson. ‟Noi qui siamo molto più ambientalisti che a Phoenix: non abbiamo voluto tutte le autostrade che hanno loro, abbiamo solo la I-10 che ci traversa (e squarcia il centro cittadino, mi viene da pensare). Non abbiamo tutta l'erba che hanno loro (ma a Tucson ci sono 35 campi da golf, pochi rispetto a Phoenix, tanti per il deserto). Poi le piscine non contano granché, perché non è che il rubinetto deve restare sempre aperto, una volta riempite c'è solo da compensare l'evaporazione. E io non ho la piscina. Non me ne importa. No, a bruciare acqua sono l'agricoltura e i prati verdi”.
Intanto però in un posto dove l'unica risorsa inesauribile è davvero il sole che picchia, l'energia solare stenta a decollare. Né opera alcun programma di riciclaggio. ‟Comunque Tucson è una delle città più antiche d'America. Qui la gente coltivava già 4.000 anni fa. Troveremo un modo”, Mark risponde con indefettibile ottimismo alle mie obiezioni. Con sua moglie Jennifer è stato in Italia, Firenze, Toscana, è rimasto incantato dalle Cinque Terre. È sempre vissuto, ha sempre lavorato a Tucson e qui vuole finire i suoi giorni, al sole, vicino al Messico, mi dice prima di portarmi a mangiare una pesantissima enchilada di pollo in salsa verde.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …