Marco D'Eramo: Presidenziali USA. Obama e McCain, l'ultimo spettacolo

04 Novembre 2008
Nell'aria secca del crepuscolo, sul portabagli di molte auto risalta lo sticker della radio cattolica, su alcune il santino di Benedetto XVI. Una volontaria repubblicana mi sussurra eccitata: ‟Arriva la star!. È lui, quant'è bello!” Il divo è Eduardo Veràstegui, divenuto celebre con il film strappacuore Bella che nel 2006 ha vinto il festival di Toronto e che l'anno scorso ha avuto un certo successo negli Usa. In Bella Eduardo recita la parte di un cuoco (ex campione mancato di calcio) che convince una commessa del suo ristorante a non abortir. Bella è il film più amato dalle associazioni antiabortiste statunitensi. Ora Veràstegui fa campagna attiva contro l'aborto e sostiene McCain.
Sono davanti al quartier generale della campagna McCain-Palin in New Mexico, un edificio a un piano in uno dei centri commerciali di Albuquerque (500.000 abitanti), sfilacciato e sterminato agglomerato di suburbi che dalle pendici delle Sandia Mountains (3.200 metri) si affaccia, a 1.600 m sul livello del mare, sulla sterminata, arida pianura che declina verso il Messico 450 km più a sud.
Veràstegui è qui per seguire, insieme agli attivisti repubblicani, il terzo e ultimo dibattito della campagna presidenziale. È applaudito con frenesia quando, cortissima barba scura, occhi azzurri, attacca gay e aborto e parla di quanto ci vogliono veri uomini, come John MCCain (Veràstegui se ne andrà a metà dibattito). Saremo una cinquantina nella grande sala occupata da lunghi tavoli, con una trentina di telefoni con cui di giorno gli attivisti contattano gli elettori.
Davanti a me un omone zoppo, vestiti assai lisi, si siede e appoggia il suo bastone con un manico metallico, non ricurvo. Quando dal teleschermo il candidato democratico Barack Obama comincia a parlare, lui punta la canna come un fucile e comincia a fare il gesto di sparargli. E quando, durante il dibattito, Obama accuserà McCain di non aver zittito gli ascoltatori dei suoi comizi che gridavano ‟Uccidilo” (Obama), un altro anziano, faccia pacifica, sussurra accanto a me: ‟Non avevano torto”. E quando Obama parlerà di sistema sanitario, un altro commenterà: ‟Comunista!” E pensare che proprio poco prima Obama aveva citato come suoi mentori economici il miliardario Warren Buffett e l'ex governatore della Federal Reserve Paul Volcker: non proprio campioni di radicalismo economico.
Proposte nuove il dibattito non ne ha portate. Dall'Italia non ci se ne rende conto, ma negli ultimi due mesi di campagna elettorale i due candidati non fanno altro che ripetere pari pari il discorso che hanno tenuto alla Convention. A volte sembrano degli automi perché non si discostano dal copione neanche di fronte a un terremoto, come quello finanziario di questo mese. Il Wall Street journal ha detto che il tracollo economico di questi giorni è per McCain quello che Katrina rappresentò per Bush: l'inizio della fine. McCain continua col suo demenziale piano di tagliare le tasse e pareggiare il bilancio.
Di fronte a questa follia, Obama sembra una campione di saggezza e lungimiranza: ha persino l'audacia di parlare della necessità di creare posti di lavoro! Ma nello stesso tempo compete con McCain a chi taglia più le tasse (‟io le taglio in modo più giusto del tuo”). Quando gli astanti applaudono a McCain che sfotte la scuola pubblica e ridicolizza chi usa le tasse come strumento redistributivo, mi torna alla mente quel che diceva il giudice della Corte suprema, Oliver Wendell Holmes: ‟Mi piace pagare tasse: con esse mi ci compro civiltà”, cioè scuola per tutti, infrastrutture, protezione dei cittadini, sistema sanitario universale.
Rispetto alle altre volte, l'intervistatore introduce il tema dell'aborto. Obama si dice contrario al l'aborto tardo (la definizione varia, ma di solito è dopo le 20 settimane), ma questo divieto deve includere un'eccezione se la salute della donna è in pericolo. E comunque difende l'idea che la decisione spetti in ultima istanza alla donna e che - come tutti gli altri diritti costituzionali - l'aborto non possa essere oggetto di referendum nei singoli stati.
Rispetto agli altri confronti, McCain è più aggressivo. Sarà perché vi assisto in mezzo ai repubblicani, sarà perché finalmente discutono da seduti e il candidato repubblicano non è costretto a camminare su e già come in preda a un ascesso di emorroidi, ma la sua performance è nettamente migliore delle due volte precedenti. Appioppa un paio di sberle cui Obama non reagisce. Per esempio, a un certo punto sbotta: ‟Io non sono Bush. Se lei voleva fare campagna contro Bush, doveva presentarsi quattro anni fa”.
McCain costringe Obama alla difensiva, a spiegare il suo rapporto con Bill Ayers che negli anni '60 aveva fatto parte del gruppo terroristico dei Weatherman, a ribadire di non avere niente a che fare con l'associazione Acorn che ha iscritto ai registri elettorali migliaia di nomi fittizi. Obama non reagisce, imperturbabile, distaccato, al limite dell'apatia. E quando McCain cita Hillary Clinton per attaccare Obama, la sala esplode in un ‟Yeah!!!”, come quando la tua squadra segna.
Alla fine del dibattito faccio un giro di telefonate con amici a Los Angeles, Chicago e New York e tutti giudichiamo che McCain è stato più bravo di Obama: a dimostrazione di come non capiamo nulla. Non siamo gli unici: in tv tutti i commentatori la pensano come noi e non riescono a credere ai propri occhi quando tre sondaggi a caldo assegnano una netta vittoria a Obama. Quest'incredulità ha persistito nei giornali di ieri mattina, che si astengono dal riportare i risultati di questi sondaggi e dall'assegnare la vittoria a Obama.
Forse ha ragione quel commentatore tv che mercoledì notte diceva: ‟Obama ha perfezionato l'arte di Cassius Clay di appoggiarsi alle corde e lasciar sfuriare l'avversario fino a sfiancarlo, prima di assestargli il KO”.
A posteriori, gli editoriali cercano di darsi una ragione del ‟balzano” risultato con il seguente argomento: McCain si trova in una situazione da Comma 22: se non è più aggressivo e non attacca Obama, prosegue nel suo declino nei sondaggi, ma se aggredisce Obama, estrania da sé gli elettori centristi che sono stanchi di colpi bassi. La mia ipotesi è invece un'altra: il messaggio di Obama è stato assimilato ed è ormai entrato nel profondo, per cui i telespettatori vedono solo quel che vogliono vedere e rimuovono il resto. In quest'ipotesi, il vantaggio di Obama sarebbe ormai consistentissimo, a 18 giorni dal voto.
Nel dibattito precedente, un'involontaria comicità era stata suscitata dall'insistenza con cui McCain aveva ripetuto l'allocuzione ‟Amici miei...”. Qui l'ha fatta da padrone Joe the Plumber, ‟Joe l'idraulico”, emblematica figura che dovrebbe incarnare l'elettore Usa (bianco, maschio e piccolissimo imprenditore).
Questo Joe in realtà esiste, si chiama Wurzelbarger e ha una ditta d'idraulica a Holland, paesino di 1.300 abitanti in Ohio: domenica scorsa ha affrontato Obama in una tappa della sua campagna dicendogli che detesta l'idea che Obama voglia aumentargli le tasse. Da allora Wurzelbacher è diventato un eroe dei blog conservatori. Così mercoledì sera, varie volte i due contendenti hanno guardato dritto nello (e al di là dello) schermo, dicendo ‟Ehi, Joe...”. Gli americani non lo sanno, ma in un referendum del 2005 l'argomento principale che convinse i francesi a bocciare la Costituzione europea fu ‟le plombier polonais”, mitica figura che incarnava tutti gli immigrati provenienti da altri paesi dell'Unione europea che ‟rubano” i posti di lavoro ai francesi. Ci sarebbe da riflettere sul potere simbolico dell'idraulico, sul come mai è l'idraulico, e non il postino, o l'elettricista, a simbolizzare la medietà, ‟l'elettore qualunque”.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …