Massimo Carlotto torna in casa SEM con un classico del noir europeo

30 Maggio 2025

La nuova introduzione all’edizione 2025

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Questo paese è purtroppo privo di una civiltà giuridica in grado di affrontare serenamente il dibattito su giustizia e pena. Anni di propaganda e politiche securitarie hanno eroso le basi di una cultura del diritto che, in passato, aveva sviluppato esperienze positive nel rispetto del dettame costituzionale, secondo cui la pena deve avere carattere rieducativo e non punitivo.

Oggi i processi vengono celebrati sui social network e nei talk show prima che nelle aule di tribunale e il dato che emerge è che la pena non basta mai. Non basta più. Il tempo ottocentesco del carcere, che meriterebbe di essere riconsiderato in chiave moderna, ha perduto ogni concretezza e senso. Viene richiesto a gran voce il massimo per qualsiasi tipo di reato. La parola “perdono” è stata bandita. Questa società crede solo nella vendetta.

I corpi dei rei devono essere stipati in galere da incubo e poco importa se il numero dei suicidi cresce continuamente. Come aumentano gli episodi di violenza. L’universo penitenziario si alimenta di minorenni e di adulti che vengono incarcerati per ripulire le strade delle nostre città, in assenza di un progetto di reinserimento. L’unico obiettivo è contenere, rendere sicuri i cittadini-elettori. Poco importa se a essere incarcerata è la criminalità di livello medio-basso. La criminalità organizzata, le culture mafiose, i colletti bianchi sono muniti di strumenti e capacità per sfuggire meglio alla grande retata, sembra anche grazie alla recente legislazione che limita l’agire della magistratura.

“L’oscura immensità della morte” affronta questi temi attraverso il confronto tra due personaggi: Silvano, che ha perso moglie e figlio per mano assassina durante una rapina, e Raffaello che per quel reato odioso è stato condannato.

Silvano vive un dolore senza fine. La nostra società è incapace di lenire la sofferenza di coloro che hanno subito un simile torto. La comunità in cui vivono tende a escluderli, a condannarli a un ergastolo di dolore, solitudine e livore. La vendetta, la più dura e terribile, rimane come unica soluzione per razionalizzare il lutto, e unica possibile via verso un futuro diverso.

Raffaello invece in carcere si è ammalato. Altro grande tema ignorato dal dibattito attuale. L’idea di vendetta che lo domina esclude ogni diritto del detenuto in nome della certezza della pena. Silvano e Raffaello, vittima e carnefice, raccontano due realtà inconciliabili.

In un mondo appena più decente, a garantire rigore della legge e diritti di entrambi dovrebbe essere lo stato.

Massimo Carlotto, giugno 2025

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