Una nuova emarginazione, basata su diagnosi erronee di disabilità trasformate in etichette di “diversità” irrecuperabile, è in pieno sviluppo nel nostro paese e coinvolge un numero crescente di bambini e ragazzi.
Si riferiscono ad abilità considerate oggi importanti anche in una prospettiva lavorativa, come leggere bene e relazionarsi agli altri adeguatamente.
Spesso, infatti, ritardi di lettura vengono confusi con sintomi di dislessia, oppure si certifica l’autismo mentre si è di fronte a difficoltà del linguaggio, depressioni, mutismo selettivo, o persino transitorie timidezze.
Come può avvenire tutto ciò? E con quali conseguenze? Cosa ha portato all’esplosione di diagnosi, spesso senza fondamento, negli ultimi anni? Come liberare i bambini da etichette che compromettono l’intera loro esistenza e quella delle loro famiglie?
A queste e a molte altre domande risponde Michele Zappella. La ricca casistica e la profonda esperienza clinica e di ricerca dell’autore chiamano in causa la scuola, gli operatori professionali e le politiche di “sostegno” alla diversità. Zappella invita i genitori e gli educatori ad aprire gli occhi e a non cedere al fascino (in)discreto dell’etichetta, e i professionisti a mantenere aggiornata la cultura specialistica, sperimentando nuove modalità di approccio ai bambini che ne stimolino fantasia e creatività. Gli effetti possono essere sorprendenti!
Come possono malattie a base genetica aver avuto un’impennata così straordinaria in così breve tempo? E se la diagnosi fosse errata o impropria, o “di comodo”? E, ancora, se l’esclusione dei bambini “non conformi” viaggiasse sotto le mentite spoglie di un’integrazione apparente e ipocrita?
La frequenza con cui oggi ci si imbatte in bambini ai quali viene diagnosticata una patologia neurologica, sia essa la dislessia, la discalculia, l’autismo o l’iperattività, lascia allibiti e preoccupati.
Da uno dei massimi esperti e studiosi di neuropsichiatria infantile, un libro che risuona come una denuncia e lancia un campanello d’allarme impossibile da ignorare, poiché ci fa entrare nelle pieghe dell’”epidemia” diagnostica che sta investendo i nostri bambini e i loro genitori.