“A nostra lode o a nostro biasimo, non si può negare – dentro ognuno di noi c’è un cavallo selvaggio.”
Come si ricostruisce la vita di un giovane uomo? Jacob Flanders è cresciuto sulle coste battute dal vento della Cornovaglia e, nonostante le sue umili origini, è riuscito a entrare a Cambridge, a frequentare i circoli sociali più importanti e a divenire avvocato a Londra. Tuttavia, non riuscendo ad apprezzare la vita nella caotica capitale, decide di perseguire la sua passione per l’antichità e visitare la Grecia prima che il destino decida di portarlo altrove sul suolo d’Europa. La vita di Jacob è raccontata attraverso memorie, emozioni e percezioni degli altri: la corrispondenza con la madre, le conversazioni di un’amica, i pensieri e i ricordi delle donne che hanno affollato i suoi giorni. Straordinario allontanamento dalle forme tradizionali del romanzo, il libro narra con toni elegiaci una vita ordinaria e straordinaria al contempo. Come spiega nella sua introduzione Nadia Fusini, “se La stanza di Jacob è un romanzo importante, è di fatto questo il motivo: qui Woolf smonta la tradizione, e apre a un nuovo inizio. E lo fa non per vacuo amore di novità, ma perché con le sue antenne sensibili intercetta intorno a sé i vagiti del nuovo mondo che chiede di venire a rappresentazione. È in questo romanzo che Virginia Woolf prende a giocare col ritmo, secondo un movimento di variazione, ripresa e ripetizione che ha la profondità della scoperta kierkegaardiana”.