
L'eversione da stadio, la polizia, Brera, il calcio. Intervista a Toni Negri
Parliamo di calcio con Toni Negri, in un bar del centro di Roma. ‟[...] Per dire queste cose bisognerebbe fare un lavoro alla Gianni Brera, cioè entrare nei ritmi atletici, nel modo in cui si cibano, nel modo in cui sono serviti. L'altro giorno guardavo sul Corriere una fotografia della Fiorentina, e mi son trovato a contare 23 giocatori e 15 tra preparatori e allenatori. Cioè ogni giocatore ha quasi persona che lo segue professionalmente. Il che evidentemente non è più soltanto professionismo, c'è un surplus di tecnica. In effetti, come si fa a reggere tre incontri a settimana? Siamo in una struttura che non è più quella nella quale chiunque con strumenti normali, intellettivi, affettivi, immaginativi può partecipare al calcio. Diventa una cosa sovrumana, iperumana. Credo che questa forma di tifo totalmente esasperato sia un tentativo di imitazione di questo tipo di calcio.”

Gli analfabeti di emozioni. Intervista a Umberto Galimberti
‟Noi pensiamo che il nichilismo consista nella mancanza di senso, ma cercare un senso è una necessità della cultura cristiana secondo la quale la storia è orientata verso un fine. I greci invece si preoccupavano dell’arte di vivere, che consiste nel conoscere le proprie capacità: se le fai fiorire raggiungi la felicità. Se i giovani si amassero, se sapessero esplicitare la propria virtù, capirebbero che il senso dell’esistenza è limitato e non proiettato in un altrove che non abbiamo la possibilità di conoscere.” L’ospite inquietante, il nuovo libro di Umberto Galimberti.

Domenico Starnone: ‟Viviamo in un mondo labile di confini incerti”
‟Labilità”, senza l´apostrofo. Quel "guasto interiore" che produce l´ossessione di scrivere. Quel piano inclinato della coscienza su cui si scivola e ci si confonde: il tempo che è stato e quello che è adesso, la realtà e la finzione, la presenza e il ricordo. I fantasmi che crescono dentro e poi vivono fuori, l´immaginazione che ha il coraggio di arrivare fino in fondo: credere all´invenzione come sanno fare i bambini. "Io ero, tu eri". Robin Hood, un mohicano, l´imperatore. Uno scrittore, persino. ‟L´abilita”, con l´apostrofo. La capacità di stare con successo nel mondo. L´istinto che ti guida senza bisogno di fatica. La sventatezza, forse. L´arroganza che serve. La semplicità che deriva da anni di consapevolezza oppure quella del talento, di chi non fa fatica mai. "Bisogna essere molto abili per vivere in un mondo labile", sorride Domenico Starnone. Sciocchi? Presuntuosi come Gamurra, il giovane scrittore del suo nuovo libro? "Non è detto. Abili a volte si diventa: con gli anni. Col tempo che serve a ritrovare lo sguardo dell´infanzia. Io ero. Il tempo che serve a tornare a credere alla realtà che si è capaci di inventare". Starnone siede fra due gatte che sembrano nuvole - una bianca, una grigia - nel silenzio tiepido di uno studio ammobiliato di libri a cinquecento metri dai rumori della strada e a quattro anni dai clamori del successo di Via Gemito, con cui vinse il premio Strega. Il nuovo romanzo s´intitola Labilità. Parla, in superficie e insieme al resto, di uno scrittore che non sa più se è capace di scrivere.

Il racconto come forma di protezione. Intervista a Domenico Starnone
Domenico Starnone e la scrittura. Un'indagine attorno allo scrivere che non è un'attività, un'occupazione o un ‟lavoro”, e nemmeno un divertimento, ma una necessità assoluta, prima, insostituibile, una mania: la ragione stessa del vivere. In questa intervista rivela i ‟retroscena” della scrittura: la passione di raccontare, e quindi il desiderio di scrivere, da dove vengono. Infine, ciò che lo lega a Torino.