Marco D'Eramo: Il pianeta in bottiglia

22 Agosto 2002
Dalla mia ultima bolletta, risulta che mille litri d'acqua di rubinetto costano a Roma 0,39 euro. Ma io preferisco pagare mille volte tanto, cioè 0,40 euro al litro, per l'acqua in bottiglia che compro. Eppure a Roma l'acqua corrente è buona. Allora perché io e tanti altri come me ci comportiamo così? E perché questo avviene soprattutto in Europa, il continente che da solo beve il 60% di tutta l'acqua imbottigliata al mondo? E perché in tutt'Europa siamo noi italiani quelli che ne consumano di più (107 litri pro capite all'anno, contro una media europea di 85 litri e una media mondiale di 15 litri)? Come è potuto succedere che una risorsa gratuita sia diventata una merce di marca? Alcune bottiglie d'acqua sono ormai oggetto di collezionismo. E come mai gli Stati uniti sono arrivati al paradosso che un litro d'acqua minerale costa più di un litro di benzina? La Poland Spring, la marca più diffusa, costa infatti 1,61 dollari al gallone (3,8 litri), mentre un gallone di benzina regular senza piombo costa 1,39 dollari. Il consumo di massa dell'acqua in bottiglia al posto di quella corrente è un fenomeno inedito, impensabile ancora un secolo fa, che coinvolge tutto il mondo, con effetti sull'ambiente, sulla salute. Un fenomeno culturale e sociale, ancor prima che economico. Oggi il pianeta consuma più di 100 miliardi di litri d'acqua imbottigliata l'anno per un valore di circa 25 miliardi di dollari. L'acqua imbottigliata è il settore industriale in più rapida crescita nel mondo, con un tasso d'aumento medio del 7% l'anno. Ma i mercati più promettenti sono gli asiatici, con un tasso di crescita del 14% e persino del 50% l'anno in India. Negli Stati uniti il consumo annuo pro capite di acqua in bottiglia era di 5,7 litri nel 1976; di 17 litri nel 1986 e di ben 35 litri nel 1999 (dati sono tratti dal rapporto commissionato dal Wwf a Catherine Ferrier e rilasciato nell'aprile 2001: Acqua in bottiglia: capire un fenomeno sociale).
L'industria dell'acqua è straordinariamente proficua, con margini di profitto dell'ordine del 25-30% e con costi di produzione irrisori: basti pensare che all'Evian costa solo 0,7 centesimi di euro produrre un litro d'acqua che nei supermercati è venduto a più di un euro. L'impetuoso flusso di cassa spiega come mai le aziende dell'acqua siano ormai gigantesche corporations multinazionali che si sono lanciate in miliardarie campagne di diversificazione e assorbimenti. La Nestlè, la numero uno al mondo, controlla il 15% del mercato mondiale delle acque in bottiglia e possiede, tra le altre, le marche Perrier, Contrex e Vittel in Francia; Arrowhead, Poland Spring e Calistoga negli Usa; Fürst Bismark Quelle e Rietenauer in Germania; Buxton in Gran Bretagna e San Pellegrino in Italia. La Danone, la numero 2 al mondo (ma è prima in America Latina e nell'Asia-Pacifico) controlla il 9% del mercato mondiale e in Francia possiede la marca più venduta al mondo, l'Evian che vende 1,4 miliardi di litri l'anno (in Francia la Danone controlla anche la Bâdoit e in Italia la Ferrarelle). Ma il caso più emblematico è quello di Vivendi, in origine società di distribuzione di acqua corrente lanciatasi nel mercato delle acque minerali e divenuta in pochi anni un colosso multimediale mondiale (proprietaria tra l'altro di Telepiù in Italia e degli Studios Universal negli Usa), prima di crollare sotto i debiti. Si spiega così come mai le ditte di bevande gassate quali CocaCola o Pepsi si sono lanciate nel mercato dell'acqua in bottiglia, soprattutto l'acqua purificata.
I moventi che spingono a consumare acqua in bottiglia sono diversi, e differenti nei vari paesi. Il 39% dei francesi che beve solo acqua in bottiglia, è per lo più di donne e anziani. Ma mentre per la metà (il 45%) dei francesi l'acqua di rubinetto ha cattivo sapore (e il 35% la ritiene troppo dura), gli americani comprano l'acqua imbottigliata il 35% perché è più sicura per l'igiene (contro il 23% dei francesi), il 35 % come sostituto di altre bevande e il 12% per queste due ragioni combinate. Un movente è dunque il sapore, l'altro la salute. L'acqua in bottiglia sarebbe più sana. Su questo argomento puntano le tecniche di marketing, con tutti i superlativi d'uso: "levissima", "purissima", le immagini di montagne, neve, ghiacciai, cascate e ruscelli, anche se l'unica acqua pura al mondo è quella distillata che però non è idonea per noi umani perché non ci rifornisce dei sali e minerali di cui il nostro corpo abbisogna. Ma non sempre le acque minerali si rivelano più "pure" di quella corrente. Anche se di solito la qualità è accettabile, nel 1986 uno studio dell'agenzia per la protezione ambientale Usa, l'Epa, mostrò che su 25 imbottigliatori, nessuno aveva mai fatto un'analisi completa della sua acqua. La sorveglianza batteriologica era inadeguata nella maggioranza dei casi e nell'8% dei campioni analizzati si rilevavano tracce di batteri. Nel 1990 Perrier dovette ritirare da 750.000 punti vendita nel mondo 280 milioni di bottiglie perché le concentrazioni di benzene vi erano superiori agli standard Usa. Uno studio condotto nel 1994 dal Kansas Department of Health and Environment (Kdhe) su 80 marche di acque in bottiglia, mostrò che 9 contenevano contaminanti oltre le norme, 12 contenevano una sostanza cancerogena; 53 contenevano cloroformio, 33 composti di metano, 25 arsenico, 15 piombo, anche se nessuna di queste sostanze era in concentrazione tale da presentare un rischio acuto per la salute. Resta il fatto che l'acqua in bottiglia non è in media più sana dell'acqua corrente. Dal fattore salute dipende anche l'uso che molte donne fanno dell'acqua minerale cui attribuiscono un potere dietetico, dimagrante, depurante, come per le acque delle antiche fonti termali (tipo Evian e Fiuggi). Qui l'acqua minerale diventa un prodotto cosmetico, comprato per migliorare il proprio aspetto fisico, allo stesso titolo di una crema di bellezza.
Rimane il fattore gusto, che però va scisso in due parti. Da un lato c'è il cattivo gusto dell'acqua di rubinetto che a volte sa troppo di cloro usato per sterilizzarla. E questo spiega come l'acqua minerale sia un fenomeno urbano, legato alla qualità degli acquedotti e alle tecniche di filtraggio. Dall'altro però c'è la passione indotta per le bevande gassate, una passione recente, e che costituisce un aspetto non secondario dell'americanizzazione del mondo. All'inizio assunse anche forme paradossali questa smania per l'effervescenza: ricordo bambinetto gli anni `50 quando a tavola si officiava il quotidiano rito dell'Idrolitina: si prendeva una bottiglia di acqua di rubinetto, vi si versava una bustina di polvere, l'Idrolitina appunto, e - miracolo - si otteneva acqua gassata (dal pessimo sapore retrospettivo). Faceva schifo, ma pétillait.
Infine, l'acqua in bottiglia costituisce uno status symbol che nei suoi marchi denota tutta una stratificazione sociale, con alla base chi beve acqua di rubinetto, un po' più su chi beve acqua purificata, poi acqua di fonte e infine acqua minerale. E tra le acque minerali, si va da quelle a buon mercato, fino alle più snob e più care come l'Evian o la San Pellegrino. Alcune marche, come la Perrier, si riconoscono già dalla forma della bottiglia. Al posto di una risorsa equalitaria, abbiamo una merce griffata che racconta la diseguaglianza di classe. L'acqua, insapore, inodore, diventa invece un logo, come quelli di cui parla Naomi Klein. Ma questa trasformazione ha un prezzo. Intanto quello di produrre circa un milione e mezzo di tonnellate di plastica all'anno: per produrle bisogna bruciare e trasformare una quantità di petrolio almeno doppia. E già a questo stadio l'acqua minerale - che compriamo a fini ambientali - contribuisce a inquinare l'atmosfera e ad accrescere l'effetto serra. Non solo. L'acqua di rubinetto veniva - e viene - distribuita - usando la forza di gravità e, in definitiva l'energia solare che l'ha fatta evaporare e poi piovere sulle cime: l'acqua di rubinetto viene distribuita a energia solare. Non così l'acqua in bottiglia trasportata in camion e per nave, e quindi a petrolio. Ecco un secondo contributo all'inquinamento e all'effetto serra. Un terzo contributo viene poi dalla necessità di smaltire il milione e mezzo di tonnellate di plastica, attraverso impianti di riciclaggio (che però inquinano) o inceneritori. Insomma, l'acqua in bottiglia non è una soluzione sostenibile per risolvere i problemi igienici o di gusto dei liquidi che beviamo. Che importa: è insostenibile ma così redditizia!
Il curioso di tutta la faccenda è che nella sua forma imbottigliata, l'acqua minerale è un bene post-moderno, nel senso che nell'ancien régime, quando non c'erano condutture né fognature, c'erano i portatori d'acqua che la vendevano alle singole case. Oggi, con l'acqua minerale consegnata a domicilio, siamo tornati a quella situazione premoderna, pre-ottocentesca del portatore d'acqua. Ma non è tanto il ritorno dell'antico a lasciare esterrefatti. A riempire invece l'animo di stupore e ammirazione sempre crescenti è l'incredibile capacità che abbiamo noi umani di adattarci alle situazioni più strampalate o più disastrose, e di dimenticarci più come era prima. Una volta si compravano bottiglie di vino, birra, olio, ma certo non d'acqua, della sorella acqua del Cantico delle creature. Oggi invece ci sembra così ovvio! Fra qualche decennio, a causa dell'inquinamento, dovremo comprarci bombole di aria pura da respirare e andremo tutti in giro col boccaglio, come oggi col walkman. Pagare l'aria ci sembrerà naturale. Ci chiederemo come facevano i nostri progenitori a respirare aria non in bottiglia. Le foto dei passanti ci sembreranno nude, come oscene, con quelle bocche scoperte, senza respiratore. Un po' come ci sembrano innaturali le città senza le auto posteggiate.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …