Marco D'Eramo: I trovatelli dell'impero
16 Luglio 2003
Tra le istituzioni più peculiari del moderno c'è l'orfanotrofio. Le altre
civiltà non hanno mai conosciuto niente di simile: i primi ricoveri pubblici o
caritatevoli per bambini risalgono al `700 per esplodere nell'800, con
l'industrializzazione e l'inurbamento di vaste masse contadine, quando i
"trovatelli" entrano nel cuore della letteratura (e dell'immaginario)
occidentale attraverso i romanzi di Charles Dickens. Dopo l'800, di orfanotrofi
si è parlato molto meno, come se la loro stagione fosse chiusa. Ma così non
è. Anzi, nella potenza imperiale postmoderna e ipertecnologica il numero dei
bambini "in affidamento" ha continuato a crescere. Solo che non c'è
nessun Dickens a puntargli addosso i riflettori. I narratori di oggi hanno ben
altre priorità, in particolare impomatare i lividi a ego ben pasciuti. L'unico
personaggio recente che abbia avuto a che vedere con gli orfanotrofi è il
protagonista del film di Lasse Hallström, The Cider House Rules (1999)
tratto dall'omonimo romanzo di John Irving. Ma i numeri parlano chiaro: secondo
il rapporto della governativa Administration for Children and Families (Afcars)
negli Stati uniti sono in affidamento circa 600.000 bambini (la cifra non
comprende le adozioni): nel 1990 erano solo 400.000. E, come nell'800, oltre ai
bimbi in custodia, ci sono i ragazzi di strada, abbandonati, non accolti in
nessun centro. Qualche anno fa il New York Times stimava che negli Usa ce
ne fossero 400.000 (ma su questi argomenti le cifre sono scivolose). Come
nell'800, gli orfanotrofi non accolgono solo orfani, ma anche bimbi abbandonati,
o sottratti ai genitori dalle autorità perché maltrattati, abusati o
semplicemente trascurati, o affidati alle istituzioni da genitori inabili ad
allevarli: ecco perché il termine "brefotrofio" è più corretto,
anche se più dotto. Fin dall'inizio gli "orfani" erano soprattutto
figli lasciati per strada da ragazze madri, o da padri troppo poveri per
mantenerli (per questo il termine "trovatelli" è più preciso
nell'implicita crudeltà soggiacente al sorridente diminutivo). I figli
abbandonati furono uno dei moventi per lanciare quella massiccia campagna di
moralizzazione delle "immorali classi pericolose" che culminò con la pruderie
vittoriana (nella narrativa inglese del `700 i protagonisti bevevano fiumi
di chiaretto; tra i vittoriani l'unica bevanda ammessa fu il tè). Fin
dall'inizio perciò le politiche degli orfanotrofi s'intrecciarono con il
dibattito sui legami tra povertà e immoralità, particolarmente vivo negli
Stati uniti dell'800. Che la povertà fosse un flagello in Europa, gli americani
lo capivano. Essa, scrive Robert Castel, "corrispondeva a caratteristiche
oggettive del Vecchio mondo: rarità delle risorse, sovrappopolazione,
ingiustizia e irrazionalità". Ma perché negli Stati uniti? Appena, verso
il 1820, negli stati della costa est a industrializzazione rapida, e la povertà
diventa un problema, subito si moltiplicano i rapporti delle commissioni sulla
povertà (già allora!), da cui emerge che "lo scandalo non è nel numero
dei poveri ma nel loro esistere". "Il pauperismo dovrebbe essere
estraneo al nostro paese" - scrive nel suo Forth Annual Report
(1821) la New York Society for the Prevention of Pauperism - per "il nostro
territorio così esteso, il nostro suolo così ricco", per l'eccellenza
delle istituzioni americane, per "il vasto campo aperto all'industria e
alle imprese, l'assenza totale di handicap civili e politici, e la completa
sicurezza nel godimento dei vantaggi naturali o acquisiti". "Nel
nostro paese così favorito, in cui il lavoro è tanto richiesto e così ben
pagato, e in cui i mezzi di sussistenza sono così facili da ottenere e così
poco costosi, la povertà non ha da esistere né dovrebbe esistere (need not
and ought not to exist)" scrivevano i Commissari per le Almshouses di
New York nel loro Annual Report for 1847. Da qui la conclusione: se la
povertà esiste negli Stati uniti è a causa dell'immoralità, dell'intemperanza
e viziosità dei poveri: "Le cifre ufficiali mostrano quanto grande è la
parte del pauperismo che, nella città come nello stato, è causata dalla pigrizia,
dall'intemperanza, dagli altri vizi" afferma la New York Association
for Improving the Condition of the Poor nel suo XIII rapporto del 1856.
Questa litania riapparirà pari pari nella coccodrilleca compassione
dell'America reaganiana per le ragazze madri dei ghetti neri. Nel 1850, tra il
rapporto dei commissari delle Almshouses e quello dell'Associazione per
migliorare la condizione dei poveri, nello stato di New York c'erano già 27
orfanotrofi, e pur tuttavia la popolazione dei ragazzi di strada, e non accolti
da nessun ospizio era stimata a 10.000 bambini. Tra il 1850 e il 1880, con
l'industrializzazione, la guerra civile, l'immigrazione, il numero di
orfanotrofi negli Stati uniti passò da 77 a più di 600. E nel 1910, erano
ricoverati negli orfanotrofi americani più di 100.000 bambini, senza contare le
migliaia e migliaia di bambini destinati ai "treni degli orfani",
tradotte che caricavano il loro carico di moltitudini infantili (come se il
fischio della vaporiera agisse da pifferario di Hamelin) verso l'West e famiglie
adottive. Basta navigare nel web per trovare siti che aiutano gli americani a
rintracciare antenati deportati nei "treni degli orfani".
I vari stati Usa promulgarono le prime leggi sulla custodia dei bambini a fine `800; il primo studio importante sulla custodia infantile negli Stati uniti è del 1924. E la grande depressione del 1930 contribuì con un altro massiccio contingente alla popolazione dei brefotrofi. Dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto negli anni `60, la critica delle istituzioni investì anche quelle infantili, portando alla diffusione dell'affidamento alle famiglie e alla creazione di case di gruppo come alternative agli orfanotrofi. Come dice uno studio del 1996 della Boston University Medical School citato dal Christian Science Monitor (Csm), "l'esperienza scientifica mostra in modo consistente che l'istituzionalizzazione nella prima infanzia accresce la probabilità che i bambini impoveriti si sviluppino in adulti economicamente improduttivi e psicologicamente sbilanciati". E gli assistenti sociali infantili dicono che i ragazzi che passano lassi di tempo significativi negli orfanotrofi, spesso diventano istituzionalizzati, meno capaci di integrarsi nella società, più atti a trovarsi nelle prigioni minorili e più tardi nel sistema carcerario criminale. Una ragione più prosaica è che un bambino in orfanotrofio costa 10 volte di più di un bambino affidato a una famiglia. E oggi lo stato federale e i singoli stati spendono circa 20 miliardi di dollari (circa 20 miliardi di euro) per la custodia dei bambini, cioè più di 30.000 euro l'anno a bambino.
Così oggi, dei 600.000 bambini in custodia, solo il 18%, circa 100.000 sono istituzionalizzati in orfanotrofi o group homes, mentre un quarto (circa 150.000) sono affidati a parenti, e quasi la metà (il 47%) a famiglie estranee. E circa 10.000 bambini sono in fuga dagli orfanotrofi: chissà perché? Per i bambini istituzionalizzati la situazione è peggiorata dal 1996, da quando hanno potuto aprire orfanotrofi anche organizzazioni a scopo di lucro. C'è di che confermare i peggiori stereotipi sulla spietatezza del capitalismo, se pensiamo che ci sono ditte che investono per ricavare profitti dai trovatelli!Il fatto è, come ha dichiarato al Csm il dottor Courtney, direttore dal Chapin Hall Center for Children dell'università di Chicago, che il benessere dei bambini non è una priorità politica per nessun candidato, tranne se un bambino muore. Allora divampa una pubblica isteria, che si sgonfia appena questa morte cade nell'oblio o è sostituta da un altro evento mediatico. Il problema non sta negli orfanotrofi, sta nella povertà dei genitori. Basta guardare le statistiche razziali dei bambini in custodia: il 44% sono neri (che costituiscono solo il 12% della popolazione Usa), il 15% sono ispanici. E nel confronto con il 1990 si vede che lo scompenso etnico è aumentato: nel '90 i bianchi non ispanici costituivano il 40% dei bambini in custodia (sulla popolazione totale Usa i bianchi non ispanici erano nel 1990 il 75,7%) mentre negli ultimi dati disponibili la percentuale dei bimbi bianchi non ispanici in custodia è scesa al 34% (mentre il loro gruppo era sceso al 72,3% della popolazione totale.
Insomma, in dieci anni il numero dei bambini negli Usa è aumentato quasi del 50%, ma il nucleo dell'aumento proviene da bambini neri o ispanici (adesso questi due gruppi da soli forniscono più trovatelli di tutti i bambini abbandonati del 1990). Questo mostra che nei dieci anni del miracolo clintoniano, del grande boom economico americano, la situazione dei ghetti neri e ispanici ha continuato a deteriorarsi. E questi dati risalgono al 1999, cioè a prima che l'amministrazione Bush iniziasse ad adottare le leggi pro-ricchi e anti-poveri, e prima che l'economia Usa cadesse in recessione. Adesso la situazione è critica anche perché a forza di ridurre le tasse, la maggior parte degli stati sono sull'orlo della bancarotta e devono tagliare le spese sociali, a cominciare dall'assistenza per i bimbi in custodia. La settimana scorsa l'amministrazione Bush ha proposto che gli stati potessero destinare una parte dei fondi di custodia (foster care) per servizi di prevenzione per le famiglie, proposta che ha subito suscitato controversie (ed è la ragione per cui il Csm è tornato sugli orfanotrofi). Come Mike Davis ha mostrato in Olocausti tardo vittoriani che c'è una produzione politica delle catastrofi, così c'è una creazione politica della miseria, e quindi dei bambini di strada.
I vari stati Usa promulgarono le prime leggi sulla custodia dei bambini a fine `800; il primo studio importante sulla custodia infantile negli Stati uniti è del 1924. E la grande depressione del 1930 contribuì con un altro massiccio contingente alla popolazione dei brefotrofi. Dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto negli anni `60, la critica delle istituzioni investì anche quelle infantili, portando alla diffusione dell'affidamento alle famiglie e alla creazione di case di gruppo come alternative agli orfanotrofi. Come dice uno studio del 1996 della Boston University Medical School citato dal Christian Science Monitor (Csm), "l'esperienza scientifica mostra in modo consistente che l'istituzionalizzazione nella prima infanzia accresce la probabilità che i bambini impoveriti si sviluppino in adulti economicamente improduttivi e psicologicamente sbilanciati". E gli assistenti sociali infantili dicono che i ragazzi che passano lassi di tempo significativi negli orfanotrofi, spesso diventano istituzionalizzati, meno capaci di integrarsi nella società, più atti a trovarsi nelle prigioni minorili e più tardi nel sistema carcerario criminale. Una ragione più prosaica è che un bambino in orfanotrofio costa 10 volte di più di un bambino affidato a una famiglia. E oggi lo stato federale e i singoli stati spendono circa 20 miliardi di dollari (circa 20 miliardi di euro) per la custodia dei bambini, cioè più di 30.000 euro l'anno a bambino.
Così oggi, dei 600.000 bambini in custodia, solo il 18%, circa 100.000 sono istituzionalizzati in orfanotrofi o group homes, mentre un quarto (circa 150.000) sono affidati a parenti, e quasi la metà (il 47%) a famiglie estranee. E circa 10.000 bambini sono in fuga dagli orfanotrofi: chissà perché? Per i bambini istituzionalizzati la situazione è peggiorata dal 1996, da quando hanno potuto aprire orfanotrofi anche organizzazioni a scopo di lucro. C'è di che confermare i peggiori stereotipi sulla spietatezza del capitalismo, se pensiamo che ci sono ditte che investono per ricavare profitti dai trovatelli!Il fatto è, come ha dichiarato al Csm il dottor Courtney, direttore dal Chapin Hall Center for Children dell'università di Chicago, che il benessere dei bambini non è una priorità politica per nessun candidato, tranne se un bambino muore. Allora divampa una pubblica isteria, che si sgonfia appena questa morte cade nell'oblio o è sostituta da un altro evento mediatico. Il problema non sta negli orfanotrofi, sta nella povertà dei genitori. Basta guardare le statistiche razziali dei bambini in custodia: il 44% sono neri (che costituiscono solo il 12% della popolazione Usa), il 15% sono ispanici. E nel confronto con il 1990 si vede che lo scompenso etnico è aumentato: nel '90 i bianchi non ispanici costituivano il 40% dei bambini in custodia (sulla popolazione totale Usa i bianchi non ispanici erano nel 1990 il 75,7%) mentre negli ultimi dati disponibili la percentuale dei bimbi bianchi non ispanici in custodia è scesa al 34% (mentre il loro gruppo era sceso al 72,3% della popolazione totale.
Insomma, in dieci anni il numero dei bambini negli Usa è aumentato quasi del 50%, ma il nucleo dell'aumento proviene da bambini neri o ispanici (adesso questi due gruppi da soli forniscono più trovatelli di tutti i bambini abbandonati del 1990). Questo mostra che nei dieci anni del miracolo clintoniano, del grande boom economico americano, la situazione dei ghetti neri e ispanici ha continuato a deteriorarsi. E questi dati risalgono al 1999, cioè a prima che l'amministrazione Bush iniziasse ad adottare le leggi pro-ricchi e anti-poveri, e prima che l'economia Usa cadesse in recessione. Adesso la situazione è critica anche perché a forza di ridurre le tasse, la maggior parte degli stati sono sull'orlo della bancarotta e devono tagliare le spese sociali, a cominciare dall'assistenza per i bimbi in custodia. La settimana scorsa l'amministrazione Bush ha proposto che gli stati potessero destinare una parte dei fondi di custodia (foster care) per servizi di prevenzione per le famiglie, proposta che ha subito suscitato controversie (ed è la ragione per cui il Csm è tornato sugli orfanotrofi). Come Mike Davis ha mostrato in Olocausti tardo vittoriani che c'è una produzione politica delle catastrofi, così c'è una creazione politica della miseria, e quindi dei bambini di strada.
Marco d’Eramo
Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …