La libertà in condizioni di libertà è diversa dalla libertà in condizioni di costrizione. È questo il problema che interpella oggi la “società dei liberi”. È vero, ci siamo liberati. Ma nel frattempo siamo divenuti prigionieri della potenza: quella dei grandi apparati tecno-economici e quella della volontà di potenza soggettiva, in continua espansione. Tutti uguali, finalmente disinibiti, perennemente in cerca, sempre aperti a tutto. Ma trasformando, alla fine, il desiderio in godimento e facendoci schiavi della performance. Arrivando a negare la realtà, il senso, l’altro da noi, la vita. E così diventando violenti, insoddisfatti, depressi. Pieni di cose e perfettamente vuoti. E disuguali. Esiste però un’altra libertà: la “libertà generativa”. Una libertà che insegue una speranza e sta in relazione con la realtà, con l’altro da sé. Un generare che è biologico e simbolico. Come movimento antropologico originario – speculare al consumo – la generatività si manifesta nell’arte, nel lavoro cooperativo, nel volontariato, in certa imprenditorialità, nell’artigianato. E si realizza in quattro tempi: desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e, infine, lasciar andare. Movimenti che ci rigenerano come soggetti capaci e nuovi. Dunque, la generatività come nuovo immaginario della libertà che ci libera da noi stessi. È questo il modo per riformare il nostro modello di sviluppo e rinnovare la democrazia. Superando l’individualismo della società dei consumi ed entrando nella società che genera.