Katrina, figlia dell’economia del petrolio. Intervista a Vandana Shiva
Katrina è ‟un effetto collaterale dell’economia fittizia, dell’economia del petrolio, di quella delle infrastrutture e delle multinazionali. Un effetto che ha portato alla morte di migliaia di persone. Un effetto che si basa su una presunzione, su una arrogante presunzione: quella che il capitalismo generi sicurezza…. Questi eventi ci hanno drammaticamente detto che quella che noi chiamiamo economia non è ‟l’economia”. La parola economia significa gestione della casa. In questo caso è stata perpetrata una cattiva gestione della casa. Un gestione che spinge molte persone verso una sofferenza più profonda.”
La Palestina ‟normale” di Suad Amiry. Un’intervista
Suad Amiry, architetta palestinese scopertasi scrittrice dopo aver pubblicato il fortunato diario da Ramallah assediata Sharon e mia suocera, parla del ritiro israeliano dai Territori e della sua voglia di raccontare la vita ‟normale” in Palestina. ‟Sono felice per ogni israeliano che si ritira dai Territori, ma attenti a non perdere di vista il quadro nel suo complesso: lo Stato palestinese, ora, ha Gaza, ma l’idea di Sharon è di tenere salda tutta la Cisgiordania e Gerusalemme in particolare. E i coloni, cacciati dalla Striscia, è qui che finiranno. Sharon è un uomo molto intelligente e un ottimo politico, ma l'ha detto: per lui la West Bank non è un territorio occupato. Suppongo che ci sia un accordo con Bush che ha visto come merce di scambio gli insediamenti a Gaza”.
La bestia nel cuore. La presentazione del film
Paolo Soraci intervista Cristina Comencini, Alessio Boni e Riccardo Tozzi all’indomani della grande emozione con cui la platea dei giornalisti del LXII Festival di Venezia ha accolto la proiezione del film. Si parla dei contenuti, del festival, del rapporto con il cast e del tentativo di censura, poi rientrato. L’evento ha avuto luogo il 9 settembre 2005 alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte.
Esterházy, Unione malata di egoismo
‟Chi è cresciuto in una dittatura è abituato alle paure. Forse si spaventerebbe persino, se non ne avesse, e se ne creerebbe subito qualcuna. Chi non è abituato alla libertà, la teme un po', è una responsabilità sconosciuta. Le nostre paure sono le stesse paure europee di moda ora, per la brutalità della globalizzazione, cui s'aggiunge, nel caso di una nazione così piccola e così centro-europea come la nostra, anche la paura per l'egoismo delle altre grandi nazioni europee. Naturalmente, non vuol dire che noi ungheresi non siamo egoisti… Ma quando sento parlare di Europa a due velocità, di nucleo forte… beh… mi sembra un discorso molto arrogante. Da noi c'è anche chi teme per la lingua, anzi per l'individualità delle culture, e crede che diventeremo un immenso McDonald’s.”