Il futuro è morto, e noi siamo sonnambuli in un incubo. Intervista a J.G. Ballard
‟La società inglese si sta ritribalizzando, è svuotata di ogni ideale, di ogni spinta sociale. Non resta che il consumismo. Ci stanno drogando con i beni di consumo e dobbiamo svegliarci”. J.G. Ballard su Regno a venire, il suo nuovo romanzo.
"Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato... E poi, di tanto in tanto, bum! Un evento di una violenza assoluta, del tutto imprevedibile: qualcosa come un pazzo che spara in un supermercato, una bomba che esplode. È pericoloso".
Terroristi, se qualcuno li guarda con simpatia. Intervista a Domenico Starnone
‟[...] Io mi ero già ritratto nei primi anni Settanta. Mi repellevano la gambizzazione, il rapimento, l’assassinio politico: un obbrobrio stupido. Immaginavo le schegge delle ossa, gli organi vitali lacerati e provavo come una vertigine che mi scagliava lo stomaco in gola. Tuttavia una parte segreta di me non riusciva a non sentire affinità con gli uccisori piuttosto che con la vittima, con i sequestratori piuttosto che con i sequestrati. Cancellavo parole di condanna dal mio vocabolario, evitavo etichette correnti. Stavo attento, anche tra me e me, a non dire mai assassini, criminali, aguzzini, terroristi, sentivo che non erano riducibili a quei vocaboli”.
Quel bisogno di rompere i canoni. Intervista a Domenico Starnone
"Il problema è che va impoverendosi la ricerca di forme che siano all’altezza della complessità della nostra esperienza. Oggi non gli scrittori, ma intere categorie lavorative o sociologiche si autonominano 'veri narratori, veri interpreti della realtà italiana': i giornalisti, i giallisti, le nobildonne e i politici di grido, gli adolescenti e soprattutto i critici-critici, che si sentono gli unici veri raccontatori dello spirito del tempo. Così l’arte di narrare, che per uno scrittore è sempre indisciplinatissima, obbedisce alle regole delle scuole di scrittura creativa. Siamo lontani dal nocciolo più serio della neoavanguardia: il bisogno di rompere con registri espressivi abusati e di mettere a soqquadro le forme canoniche e le classificazioni pigre."
Wenders Speaking. Intervista a Wim Wenders
‟Ho vissuto in America per molto tempo con l’illusione di poter realizzare film americani, per poi rendermi conto che la mia patria, la mia casa, era l’Europa e la mia lingua non era quella del cinema americano, bensì quella del cinema europeo. Soltanto quando sono ritornato a casa ho avuto la capacità di apprezzare queste cose e che ciò che più contava per me era il posto dove avevo studiato. Ho fatto un film d’addio che era Paris, Texas, una sorta di esorcismo del mio sogno americano... un addio a questo sogno. Ma amo sempre questo paese, amo molto il cinema americano. L’America tuttavia non è più per me una preoccupazione, un’ossessione. L’unica cosa che mi angoscia e rattrista è che quando ultimamente ho attraversato gli Stati Uniti, viaggiando in automobile da New York a Los Angeles, lentamente, osservando molte cose, mi sono reso conto della spaventosa povertà (più che in Europa) che regna nella maggior parte del paese. Povertà sia materiale sia spirituale. Esiste un terribile divario tra la realtà interna dell’America e la sua immagine diffusa nel mondo.”
Una lunga intervista in cui il cineasta tedesco parla del suo cinema. L’intervista è contenuta nel libro Gli spazi di un’immagine, a cura di Frank J. Martucci allegato al DVD Palermo Shooting.