Gianni Riotta: L'Europa impari: essere una Superpotenza vuol dire soffrire
12 Gennaio 2003
Che requisiti occorrono per l'iscrizione al club delle superpotenze? Il 2003
è un anno chiave per l'Europa, se davvero vuole entrare a far parte del circolo
esclusivo che, caduta la Russia, elenca un solo socio, gli St ati Uniti, e la
Cina come aspirante. Gli europei, giustamente, riluttano davanti a una guida
mondiale monoposto, come la Ferrari F1, ma spesso assumono l'atteggiamento
dell'antica aristocrazia. Sembra quasi che il titolo nobiliare di
"Superpotenza Unione Europea", ci spetti per diritto divino o
maggiorasco ereditario. Non sarà così. I Paesi dell'Unione saranno
riconosciuti leader del pianeta se accetteranno con umiltà e responsabilità le
sofferenze del ruolo. Lo storico Walter Russell Mead dimostra che gli Stati
Uniti diventano potenza globale solo dopo due guerre mondiali e la ricostruzione
in Europa e Giappone, decisioni osteggiate da gran parte dell'opinione pubblica
interna e perseguite da minoranze illuminate. E lo studioso Anthony Beevor data
l'atto di nascita dell' Urss-superpotenza a Stalingrado, nella battaglia
conclusa 60 anni or sono con un milione e mezzo di vittime. Guidare il mondo
significa condividerne i rapidi mutamenti, pronti a mutare le proprie abitudini.
"Gli Stati Uniti spendono per la difesa 300 miliardi di euro l'anno, gli
europei 170" calcola l'economista Niall Ferguson. E' possibile che l'Europa
sia loro pari al tavolo delle trattative su Iraq, Medio Oriente, Corea, India e
Pakistan, con questo scarto? Devastata per secoli, l'Europa aborre le armi e
propone quindi diplomazia e saggezza, come contraltare ai muscoli. E' una strada
raziocinante, il "potere soffice" elogiato dall' ex consigliere di
Bill Clinton, Joseph Nye, ma va percorsa senza ipocrisie. L'Europa denuncia il
pregiudizio antipalestinese di Washington, ma può proporsi come mediatore
credibile quando la popolazione Ue, alla domanda "Quanto vi è simpatica
Israele da 1 a 10?", risponde compatta "4 meno"? No: senza
equanimità niente "potere soffice". "L'Unione Europea concede
ogni giorno a ogni mucca del Vecchio continente sussidi pari a due euro e 34
centesimi, più di quanto la maggioranza degli abitanti dell'Africa subsahariana
abbia per vivere" nota severo l'ex premier svedese Carl Bildt. Usa e
Giappone sono altrettanto gelosi delle proprie agricolture, ma se noi europei
opponiamo alla potenza militare la solidarietà, come possiamo ostinarci a
spendere 93 miliardi di euro in sussidi verdi, quando i Paesi poveri ne ricevono
in tutto 50 in aiuti? Le aspirazioni degli europei sono riconosciute dagli
americani, con astio o simpatia. Il professore di Harvard Samuel Huntington
considera "la crescita dell'Unione il solo vero passo verso un mondo
multipolare". Tre milioni e 600mila statunitensi lavorano già in aziende
controllate da azionisti europei. I complimenti non devono però nascondere i
fatti. L'innovazione negli Usa ("ogni anno è come se aggiungessimo al
prodotto interno una nuova Germania" sorride il finanziere Felix Rohatyn)
si giova del reclutamento dei migliori cervelli scientifici e tecnici della
Terra. Nel 2007 il Pentagono spenderà 500 miliardi di euro in tecnologia:
quanti ragazzi europei e asiatici, sulle orme di Fermi e Einstein, emigreranno
attratti da quei finanziamenti? La Germania, nostro leader industriale, continua
invece a bocciare la legge per ospitare i tecnici stranieri. Siamo un continente
protezionista sulle idee, fermo sulle frontiere della ricerca: biotecnologie,
nanotecnologie, bioinformatica, studi sul genoma. Abbasso il "fast
food" yankee ed evviva lo "slow food" nostrano, certo, ma sulla
scienza, non sarebbe meglio essere noi "fast"? Chi si candida a essere
nuovo campione del mondo deve migliorare i record del campione uscente: i nostri
mercati tutelano invece sempre lo status quo, restando poi col fiatone davanti
all'energia internazionale. Sarà un gran bene per tutti quando l'Europa
diventerà superpotenza, ma prima deve superare queste fatiche, con generosità,
lungimiranza e fantasia.
Gianni Riotta
Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …