Umberto Galimberti: I ragazzi della città dei libri

29 Aprile 2003
Che fanno le scuole italiane lungo questo interminabile ponte festivo che da pasqua si prolunga fino al primo maggio e oltre? O restano chiuse o alternano giorni di vacanza con giorni di svagata presenza. Niente di creativo e produttivo. Le scuole italiane. Ma non i licei della Calabria che, dal 25 al 30 aprile hanno organizzato nel liceo Galluppi di Catanzaro (mille studenti), dove sono convenuti con pullman i liceali di Cosenza e di Reggio Calabria (duemila studenti), una fiera del libro, della multimedialità, del teatro e della musica.
Non è una fiera qualsiasi dove visitatori generici fanno il giro degli stand tra lo svagato e il divertito davanti a quell´oggetto un po´ sconosciuto e un po´ enigmatico che è il libro. Ma è una fiera organizzata dagli studenti che, a turno, si danno il cambio sotto i trenta tendoni, uno per ognuna delle maggiori case editrici, per vendere e comprare libri, molti dei quali letti e conosciuti dagli alunni che, a partire dal mese di ottobre, dividendosi il compito, si sono preparati domande puntuali e precise per i quaranta relatori (professori universitari e competenti nelle varie aree disciplinari) che, nell´aula magna di quel liceo, in quei giorni si succedono per parlare di classicità, storia, filosofia, politica, informatica, multimedialità, drammaturgia, musica.
Una fiera del libro senza la collaborazione delle case editrici che, scollate come sono dalla scuola, a cui, per ragioni esclusivamente commerciali, dedicano attenzione solo in occasione dell´adozione dei libri scolastici, non si sono rivelate sensibili all´iniziativa, fatta eccezione dell´editore calabrese Rubbettino e dell´editore Donzelli, che opera a Roma ma ha studiato al Galluppi di Catanzaro. Questi due editori e i librai della Calabria hanno fornito agli studenti i libri da esporre e da vendere, sotto quei trenta chioschi di tela bianca, cuciti dagli studenti, con il nome della casa editrice sul frontespizio, e la loro bella presenza tra i libri esposti, più bella e più vera delle hostess di "bella presenza" dagli abiti e dai sorrisi confezionati come solitamente si usa nelle fiere.
Tra quegli studenti e i libri c´era familiarità e consuetudine. Lo si deduceva dalle domande precise e puntuali che rivolgevano ai quaranta relatori che di quei libri parlavano. Non una sbavatura, non una generica approssimazione, ma il tentativo serio di piegare le domande e le risposte che i libri contengono alle domande che i giovani si pongono e alle risposte che si danno: che senso ha studiare oggi la storia degli antichi? Il tipo d´uomo descritto dai classici ha ancora parentela con l´uomo dell´età della tecnica? Quanto siamo liberi e quanto le scoperte della genetica ci costringono a ripensare i limiti della nostra libertà? Che rapporto c´è tra tradizione e innovazione? La Calabria descritta da Corrado Alvaro o la Sicilia descritta da Pirandello sono ancora di qualche utilità per chi in Calabria e in Sicilia vive oggi?
La questione meridionale è un ritornello dei governi che si succedono o è un problema vero per questi giovani che si preparano nei licei calabresi e poi, per l´università, migrano a Roma, a Pisa, a Bologna, a Milano, perché l´università della Calabria è un luogo di transito di professori, che poi tornano alle sedi d´origine senza lasciare né segni, né traccia? E così noi, regione povera - mi diceva un professore che era anche padre di due figli - finiamo col finanziare le regioni ricche, mantenendo agli studi i nostri ragazzi al nord.
Chissà se queste cose Bossi le sa? E chissà se le sanno i ministri della Pubblica istruzione e dell´università che, con le riforme che ad ogni legislatura sfornano, non sono ancora riusciti a creare nella scuola un minimo di vitalità che approssimativamente assomigli a quello che hanno messo in piedi i presidi dei licei della Calabria, con i quattro soldi che il Comune, la Provincia e la Regione sono riusciti a erogare, non in pubbliche conferenze o in manifestazioni d´arte varia, ma nel posto giusto, la scuola, dove si educano i giovani e dove la cultura non può essere dispensata solo dalle cattedre, ma deve entrare come un fiume, in tutte le sue espressioni che si chiamano teatro, musica, informatica, multimedialità.
E tutto questo dal vivo, con gente che spiega e gente che impara, con gli strumenti a portata di mano che si chiamano libri, videocassette, strumenti musicali, aule per conferenze, palcoscenici per teatri, con gli studenti attori di tutte queste manifestazioni, anche nei giorni di festa. Perché è una festa poter vedere che i libri vivono, non solo perché si portano a scuola dentro gli zainetti, ma perché si leggono, si vendono, se ne può parlare con chi li ha scritti.
Perché si tocca con mano che le tragedie greche non sono solo testi di letteratura di cui bisogna sapere la metrica e le note a piè di pagina, ma si rappresentano a scuola, se c´è spazio, o in qualche pubblico locale della città. Perché la musica non è solo un evento da discoteca, ma una pratica scolastica che, durante questi "giorni di lavoro festivi", diventa cultura della sera, con concerti allestiti da studenti e da gruppi filodrammatici calabresi che ti fanno conoscere Bach, Mozart, Beethoven, Vivaldi, Sarasade, Gluck, fino al jazz e alla musica dei giorni nostri.
Li vogliamo aprire questi edifici scolastici, anche nei giorni di festa, affinché, in tutte le sue forme, la cultura entri abbondante e copiosa, trasformando gli studenti da passivi uditori in operatori culturali, sotto la guida di professori motivati che, a parità di stipendio, preferiscono vivere nella scuola piuttosto che annoiarsi?
Mancano i soldi. E´ vero! Non si può chiedere tutto l´impegno, che ho visto prodigato nei licei di Catanzaro e Reggio Calabria, a professori che guadagnano dai 1000 ai 1500 euro al mese a secondo dell´anzianità. Però gli assessori alla Cultura dei vari Comuni, Province e Regioni potrebbero devolvere i loro stanziamenti alla scuola e concentrare lì le manifestazioni culturali sparse nei vari luoghi della città. E questo affinché la scuola non sia più solo un luogo stanco d´istruzione che apre alle otto della mattina e chiude all´una, ma diventi il luogo permanente e sempre aperto del lavoro culturale della città, nel suo momento più alto che è quello della trasmissione e della diffusione della cultura, che non si fa al cinema e neanche alla televisione, ma eminentemente e soprattutto a scuola. Una scuola che i giovani devono poter frequentare non come la condanna di ogni giorno, ma come il luogo in cui cominciano a sentirsi protagonisti, operatori e produttori culturali.
Utopia? Forse. Ma l´utopia resta pur sempre l´indicatore della direzione che può assumere la realtà. E quanto costa al ministero del Tesoro l´andamento stanco e demotivato della nostra scuola attuale e, invece, un andamento attivo e dinamico quale lo si potrebbe creare se le attuali risorse destinate a pioggia a tutti gli assessorati alla Cultura si concentrassero nella scuola, per trasformarla in un laboratorio permanente della produzione e della distribuzione della cultura nella città, con gli studenti operatori e protagonisti?
Ma soprattutto quanto costa alla società una classe insegnante demotivata e una classe studentesca annoiata e distratta che insieme passano quindici anni della loro vita, i professori molto spesso con la voglia di raggiungere il limite della pensione e gli studenti con la voglia di uscirne al più presto? Non è questa la peggiore delle condanne a cui ogni giorno sottoponiamo studenti e professori nel disinteresse generale, quando invece qualcos´altro si può fare, come hanno dimostrato i presidi dei licei della Calabria, l´ultima o la penultima Regione italiana per reddito pro capite?
Se motivi i giovani, questi ti seguono con la forza e l´entusiasmo che tutti riconosciamo nelle attività che essi promuovono alla loro età. Se li demotivi, se li logori, se li annoi, se non capisci i loro percorsi talvolta tortuosi, se iscrivi nell´ingenuità i loro entusiasmi, se non li impegni nei luoghi che i giovani sono costretti a frequentare ogni giorno, se in quei luoghi non li fai lavorare e non li attivi sullo stesso materiale culturale che è poi l´oggetto dei loro studi, allora aspettati una società futura appiattita sui luoghi comuni, conformista nei comportamenti, passiva nelle decisioni, acritica, priva di iniziativa, perché, quando era il tempo, invece dell´interesse, a scuola si è distribuito, a dosi massicce, solo noia e demotivazione.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …