Marco D'Eramo: C'era una volta Americus

18 Maggio 2004
La campagna che traverso è così povera che le sue uniche ricchezze sono il legname e le noccioline. Le contee di Stewart e di Quitman sono in lizza con il Delta del Mississippi per il titolo di contea più povera degli Stati uniti. E se la contea di Sumter sta un po' meglio, è solo perché è la patria di Jimmy Carter che è stato presidente degli Stati uniti tra il 1976 e il 1980 e che qui è cresciuto, nella sua piantagione di noccioline. A Plains c'è un museo Carter, e si può visitare la sua casa natìa. Plains è a pochi km da Americus, che una volta era un centro ferroviario. Ogni volta che parliamo del ruolo delle chiese nell'imbrigliare il sud in una gabbia di plumbeo conservatorismo, tutti mi dicono: "Sì, però ci sono gruppi religiosi che hanno un ruolo progressista: vai ad Americus, parla con quelli di ‘Habitat for Humanity’ (Hfh) e poi anche con quelli di ‘Koinonia’".

Gli insegnamenti di Cristo.
Eccomi qua così ad Americus, in pieno "profondo Sud". L'unico edificio rilevante del paese è quello a tre piani in mattoni rossi di Hfh. Entro e vedo una hall come da azienda di soggiorno, con depliant, manufatti "autentici". L'addetto alle pubbliche relazioni che mi prende in consegna, Duane Bates, è un paffutello texano dalla voce dolce. Mi dice: "Le spiego tutto mentre andiamo al nostro villaggio esposizione". Habitat for Humanity fu fondata da Millar Fuller, un self-made man dell'Alabama divenuto milionario (in dollari) con l'editoria (di libri di cucina e cataloghi postali). Ma, dicono i depliant, a 29 anni lui e sua moglie "scoprirono il messaggio cristiano, vendettero tutto, distribuirono i soldi ai poveri e cercarono una nuova vita. La trovarono alla fattoria di Koinonia, in Georgia, una comunità cristiana vicino ad Americus i cui membri cercavano modi pratici per applicare gli insegnamenti di Cristo. Con il fondatore di Koinonia, Clarence Jordan, avviarono varie imprese cooperative, inclusa una società che aiutava a costruire modeste abitazioni con mutui senza interessi e senza profitto". Nel 1973 Fuller e sua moglie andarono nell'allora Zaire per mettere alla prova questo tipo di soluzione al problema dei senza tetto. Nel 1976 la nuova attività di costruire case era divenuta così consistente che si separò da Koinonia e divenne un'associazione a parte, appunto Habitat for Humanity, con sede prima nello studio legale di Miller, poi nel nuovo, più grande edificio.
Il principio religioso messo in pratica è quello stabilito nella Bibbia (Esodo: 22,25) dei prestiti senza interessi e senza lucro a famiglie senza casa che però possono dimostrare di essere in condizioni di ripagare il mutuo e che concorrono alla costruzione della casa con almeno 400 ore del proprio lavoro: "L'idea è che se tu lavori alla tua casa e se ne devi pagare il mutuo (che di solito è meno di quel che pagherebbero in affitto), allora ci tieni di più, curi la manutenzione, non la lasci andare". Ma non ci sono mutui in protesto? "Sì, ma sono solo il 2%, contro una media nazionale negli Usa dell'8%".
Prima le case di Hfh furono costruite solo nella contea Sumter, poi in tutti gli Usa (per esempio progetti di risanamento di condomini degradati nel barrio di New York), e infine negli anni `80 anche nel resto del mondo. Nel 1984 l'ex presidente Jimmy Carter venne a lavorare in un campo estivo di Hfh e da allora è diventato il suo testimonial più famoso nel mondo. La grande crescita è avvenuta all'inizio degli anni ‘90 e oggi Hfh è diventata una potenza economica: è un'organizzazione/ombrello che congiunge più di 3.000 Ong in 92 paesi che finora hanno costruito 162.000 abitazioni nel mondo per 700.000 persone: sono queste 3.000 Ong che concretamente concedono i mutui e aiutano a costruire le case che in molti paesi del Terzo mondo non hanno acqua né elettricità, e che comunque devono essere integrate (sia nel modo di costruirle sia nella struttura) nella cultura e nelle tradizioni locali. Oggi i 400 tra dipendenti e volontari di questa Ong sono l'unico motore economico di Americus.
Arriviamo al villaggio esposizione dove vengo preso in carico da un affabile anziano signore, David Bottomley, che parla un inglese colto d'Inghilterra, incongruo in questo sud profondo dove l'accento terrone americano è fortissimo: "Sono andato via dal Regno unito perché non sopportavo il sistema delle caste inglesi per cui se non parli il cosiddetto ‟inglese della regina” (quello delle scuole private d'élite che in Inghilterra si chiamano public schools), ti rifiutano un lavoro. Ho lavorato in un'impresa petrolifera americana e poi, quando sono andato in pensione anticipata, ho lavorato per la Montecatini in Italia. Quando sono andato davvero in pensione, mia moglie - che era già una volontaria di Hfh - mi ha trascinato qui e da allora lavoro qui anch'io come volontario" (un figlio fa l'avvocato a New York, l'altro lavora a Londra). È insolito un percorso che dall'Inghilterra passa per la Montecatini e finisce in fondo alla Georgia in un volontariato per una Ong.

Dalla lamiera al mattone.
Ma è assai meno curioso del villaggio che mi fa visitare e che consiste di due parti, una che riproduce le più povere bidonvilles della terra, le catapecchie in lamiera delle baraccopoli indiane e latino-americane, l'altra che mostra invece le abitazioni costruite da Hfh nei vari paesi con una targhetta che mostra quanto costa costruirle: in Kenya il mutuo è di 2.600 dollari, in Malawi di 2.000, in Zambia e Uganda di 3.100, in Sudafrica di 5.700 (il costo della casa è legato alla povertà del paese), e negli Usa di 53.000 dollari in media. Tra le case in esposizione una sola (la sudafricana) ha l'elettricità. Sono spartane e solide.
"Il fatto è, mi dice David, che solo l'8% degli americani ha un passaporto, e quindi non hanno idea di come viva il resto del mondo. Se tu gli fai vedere la casa che costruisci in Malawi, senza acqua e senza elettricità, loro la paragonano alla propria in Kansas o in Michigan, con tutti gli elettrodomestici, l'acqua corrente, l'aria condizionata e il garage per la macchina. Non capiscono che salto nella qualità della vita significhi. Per questo abbiamo ricostruito le condizioni reali di vita dei poveri nel mondo, perché possano rendersene conto".
Il villaggio è stato aperto l'anno scorso e ha già avuto 17.000 visitatori, tanto che l'Ufficio turistico della Georgia ha riaperto un trenino storico (di quelli con la vaporiera) da Cordele a qui (circa 50 km). Mi mostra le presse a mano con cui plasmare i mattoni quando un vocio giovanile rompe la quiete: "Sono giovani mennoniti che vengono da un paese qui vicino". I mennoniti, come gli Amish, sono i successori degli anabattisti di Thomas Müntzer (quelli del romanzo Q di Luther Blissett), perseguitati in Europa perché proto-comunisti.
La situazione è surreale, persino perversa: mi trovo nel profondo Sud Usa con accanto i discendenti degli anabattisti, in un parco a temi della povertà mondiale, in cui gli americani vengono qui a visitare le copie della miseria per poter capire la miseria reale del mondo là fuori. Perciò, per quanto desti ammirazione quel che Habitat for Humanity fa per alleviare i senza tetto, resta un retrogusto di adulterazione, un che di cartapesta, ineliminabile in ogni soluzione di mercato alla lotta contro la povertà.
Mi dirigo allora verso Koinonia, sperduta fra i campi, a 10 km da Americus, dove tre sparuti gruppi di case s'intravedono fra l'ombra degli alberi. Vengo accolto da Ellie Castle, una vecchia signora, piccolina, che parla in continuazione mostrandomi in uno stanzone la storia fotografica di questa che è stata la prima comunità interrazziale del sud degli Stati uniti: Koinonia fu fondata nel 1942 da Clarence Jordan (1913-69) che voleva mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo: di amore per tutti senza distinzione di razza, e di condivisione di tutti i beni. Nel sud razzista e gerarchico, la comunità fu subito vista con odio, che crebbe negli anni `50 con il maccarthismo e l'isteria anti-comunista, e ancora più quando scoppiò il movimento dei diritti civili. Le foto più toccanti sono quelle della segregazione nuda: nel cesso un lavandino grande con scritto sopra "bianchi" e uno più piccolo "di colore", o la scritta: "ingresso per i neri". Jordan e i suoi furono minacciati, picchiati, presi a fucilate, le case bruciate. Ma loro resistettero, e a poco a poco divennero famosi in tutto il mondo. Con i suoi campi estivi di lavoro e i suoi corsi di studi biblici Koinonia divenne meta di pellegrinaggio per tutti gli hippies, i militanti dei diritti civili, i cristiani della liberazione.

Arriva la crisi.
Ellie non lo dice, ma gli anni `80 dovettero segnare un declino. Negli anni `90 arrivò la crisi d'identità: i neri che venivano qui non volevano vivere in povertà cristiana ("voi l'avete scelta, noi ce la becchiamo per forza"). Quindi l'originario spirito comunitario è venuto meno, anche se la proprietà è ancora comune. Negli anni `90 è stato intrapreso uno sviluppo capitalistico: da 200 ettari, la terra è passata a 600, ma la comune ha dovuto ricorrere ai prestiti, tanto che a un certo punto aveva 1 milione di dollari di debiti che sono stati ripagati vendendo la terra (ora è di nuovo di 240 ettari, di cui 70 coltivati a noccioline americane e 100 di alberi di noci pecan). "Ma poi, senza che chiedessimo nulla, una signora ci ha lasciato in testamento un milione di dollari e adesso la nostra situazione è sana".
La modestia del luogo, la tocchi con mano e con occhi: i residenti fissi della comune sono solo 25 e alcuni sono molto vecchi; con i volontari, d'estate diventano 40. Il catalogo di quel che vende Koinonia fa tenerezza: cioccolati alle noccioline, castagnacci di noci. Senti che quello che guardi è solo un flebile ricordo del passato. Allora Habitat for Humanity e Koinonia ti sembrano una parabola del XX secolo, l'una con la sua traiettoria tutta interna alla logica del mercato capitalistico, l'altra con un'idea radicale di comunismo comunitario, l'una diventata una megagalattica Ong multinazionale, l'altra in un declino di ristrettezze. Ma poi pensi che con la loro tenacia quelli di Koinonia hanno davvero cambiato i destini della convivenza razziale, e allora ti dà speranza che una fattoria di pochi umani in fondo al profondo Sud abbia potuto incidere sulla storia del mondo.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …