Vittorio Zucconi: Il prezzo del fuggiasco

07 Giugno 2004
Il furgone per il trasporto del condannato a morte in viaggio verso l'esecuzione prese male la curva di notte. Si coricò su un lato, nel prato accanto alla strada per la "camera della morte" a Newark, le ruote che zampettavano vanamente in aria come quelle di uno scarafaggio in agonia. Angelo Lopez, l'agente alla guida, e Ross Lipper, l'agente di scorta, erano leggermente ciucchi e non avevano agganciato le cinture di sicurezza, confesseranno più tardi ai superiori durante l'inchiesta. Furono sballottati e rimasero tramortiti. Per quelle strane coincidenze che permettono a chi scrive rubriche come questa di campare, l'unico illeso e perfettamente lucido nell'incidente fu il condannato a morte, che vide spalancarsi davanti a sé il portello del furgone scardinato. Non aveva, ovviamente, nulla da perdere e non ebbe la minima esitazione a trasformarsi in fuggitivo. Sgusciò fuori dal cellulare squinternato, mosse i primi passi, incredulo, nell'erba bagnata e si incamminò prima esitante e poi a passo rapido verso le luci del sobborgo vicino, aspettandosi uno sparo, un grido, che non vennero, senza voltarsi mai indietro. Il fuggitivo era grasso, fuori forma, appesantito da anni di prigione e dalla dieta monotona, ma il pensiero della possibile libertà, anche se effimera, animava i suoi passi. Attraversò di corsa l'autostrada numero 95, la massima arteria del traffico verso Newark e New York, sfidando i fari degli autocarri e il sonno degli automobilisti, incolume. Raggiunse i sobborghi di Newark, la squallida cintura di capannoni, magazzini e sfasciacarrozze che circondano la non ridente cittadina del New Jersey e vide a poco a poco la notte dileguarsi, nella primavera ormai avanzata. Nel suo stato confusionale, il cuore a mille, la certezza dell'inutilità della fuga - mai un condannato a morte era riuscito a sfuggire al boia alla vigilia dell'esecuzione - gli parve di riconoscere un edificio, un capannone che aveva qualcosa di famigliare, di accogliente. Alle sue spalle, udibili tra i tonfi del cuore, cominciavano a sentirsi le sirene. I due agenti erano rinvenuti, avevano dato l'allarme e seguire le sue impronte, tra il fango e le strade, non sarebbe stato difficile. Entrò nel capannone, che, per sua incredibile fortuna, la padrona di quell'edificio e della aziendina di riparazioni auto che ospitava, quella mattina aveva aperto all'alba, per fare l'inventario. Si chiamava Judith Borsellino e sobbalzò quando vide, nella luce del portone aperto, stagliarsi la sagoma massiccia di uno sconosciuto inzaccherato, ansimante, stremato. Non era un magistrato, Judith, né un poliziotto, ma non le ci volle molto poco per capire che quello era un fuggiasco, un evaso. Non ebbe neppure bisogno di interrogarlo né di ascoltarlo, per capire al volo la situazione, perché, senza saperlo, per quel misterioso intuito che a volte hanno i disperati sui quali, pare, la vista della forza acuisce meravigliosamente il cervello, l'evaso aveva trovato una complice ideale. Lo nascose dietro il capannone e quando gli inseguitori arrivarono anche da lei giurò di non averlo mai visto, ma qui il condannato commise il suo errore fatale. Muggì. Sarà stata la fame, la paura, la stanchezza, ma il fatto resta che il cretino di un vitellone fuggito dal furgone del macellaio non seppe trattenere un muggito. Ah ha! Esultarono i cacciatori. È il nostro vitellone e ce lo riprendiamo. Ma la fortuna del vitellone tenne. Judith era una vegetariana convinta, non per ragioni di gusto o di dieta, ma proprio vegetariana per animalismo e bloccò i due, nel senso proprio letterale, carnefici. Il vitello è sotto la mia protezione, si oppose. Il vitello è proprietà nostra e se non ce lo consegna chiamiamo la polizia, insistettero Angelo e Ross. Ogni animale è una vita da rispettare, proclamava la protettrice del vitellone. Ogni animale è il nostro lavoro, obbiettavano i due. C'era una sola soluzione possibile e fu trovata. Judith comperò l'evaso, pagandolo una fortuna, a costo di filetti, nodini e trippe al dettaglio e da allora, sono trascorse un paio di settimane, il vitellone vive nel cortile, tra cascami e carcasse (di auto), in attesa di raggiungere un parco dove vanno a finire la propria vita naturale maiali, manzi, mucche e pollami scampati alla graticola. Resta da aggiungere un dettaglio, che esitavo a scrivere perché a volte fatico anche io a credere alle cose che leggo e scrivo e vedo, come questa storia del manzetto liberato in extremis. Il nome della bestia scampata al macellaio. Si chiama Freedom. Libertà.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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