Gianni Riotta: Italia campione del Mondo. Il giorno dei puri

10 Luglio 2006
Fra venticinque anni, quando sarà adulta la generazione di ragazzi e ragazze che ancora dorme beata dopo la notte di festa per l'Italia campione, resteranno i ricordi. Un matrimonio con il riso che vola, il castello di sabbia con una bambina al mare, l'addio a un volto caro, un bel giorno al lavoro. Nell'album dei souvenir di una vita, il 9 luglio 2006 sarà gioia candida, ‟Quando l'Italia vinse, io...”. Felicità delle maglie, gol, parate che i nostri colleghi dello sport hanno annunciato con maestria. Ma nel ricordo, scolorite tattiche, 4-4-1-1, Zidane teppista qualunque, Totti avanti, si fissa la gioia di identità e comunità.
Siamo campioni perché italiani, abbiamo vinto con la grinta, la sorte e i difetti nazionali e nel Bar del Mondo abbiamo diritto di sfottò su tutti, bleus di Francia, carioca do Brasil, bianchi di Germania, malmostosi argentini. Ovunque sul pianeta Terra il passaporto bianco-rosso- verde verrà timbrato con ammirazione, ‟Italia Paolo Rossi”, ‟Italia Baggio”, ‟Italia Grosso”.
È sbagliato cercare in un trionfo sportivo i segni del destino. È sbagliato ma non resistiamo, non sappiamo vivere senza vaticinare il futuro, nei fondi del caffè, nel palmo di una mano, in una palla di vetro o di fibre sintetiche Teamgeist, incubo di Barthez. Bartali, Coppi e Valentino Mazzola segnano la rinascita del dopoguerra; Berruti, Rivera e la Grande Inter il boom anni 60; Bearzot l'Italia Paese globale, come la Germania '54 aveva dissolto l'ombra totalitaria e la Francia multirazziale '98 dato l'addio alla spocchia coloniale. Solo segni, mai certezze, dopo Bearzot venne il crac Prima Repubblica e dopo il mondiale a Parigi il rogo delle periferie arabe.
Oggi, rauchi per i troppi ‟Goool! Goool!” quelle profezie ci appaiono precise e ineluttabili nella loro fragilità. Diamo sempre il meglio quando siamo alle corde, scandali, processi, meschinità. Spogliati di ogni gloria, nudi davanti a sé stessi e a un Paese di innamorati delusi, i nostri calciatori, il mister Lippi e lo staff tecnico hanno lavorato solo per il calcio.
I cinici diranno che gli assi in cerca di contratto dopo il declassamento dei loro club galoppavano in vista di ingaggi. Non noi. Noi crediamo che, dopo intercettazioni, accuse, intrighi e truffe, ognuno degli azzurri sia tornato per un mese quello che era da ragazzo in periferia, quando il calcio era sogno, non racket. E giocando nel sogno ci hanno fatto innamorare.
I cinici sbagliano sempre nella vita, i boss del calcio corrotto sono più ingenui dell'ultimo tifoso insonne, irriducibile in piazza con la bandiera sdrucita. La passione vince sull'imbroglio, i puri di cuore sono più efficienti dei furbi, il gioco di squadra delle persone perbene prevale su vanità, egoismi, lobby. Questa è la morale di ogni festa, all'Olympiastadion, in strada, nel tinello, effimera e indimenticabile come un replay. Lavorare insieme, con serietà, ci porta avanti nel mondo e per questo esultava ieri Napolitano, presidente gentleman. Complottare per cupidigia di clan ci ha perduto tante volte nel passato e ancora ci perderà se recidivi nel lasciarci rapire il Paese da chi ‟sa stare al mondo”. Ora il calcio dei campioni commina le pene al calcio marcio: lo faccia con fermezza, senza vendette, in garanzia equanime di limpida rinascita per tutti. Grazie Italia.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …