Carlo Feltrinelli: Diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia

05 Giugno 2012
Il futuro percepito da chi abita il nostro paese pare non sia mai stato così incerto. Le tante crisi (economica, dell’Unione europea, culturale, politica, del capitalismo, delle istituzioni, di legalità) si avvitano in quella che sembra essere una tempesta perfetta, molto spettrale, pur se in buona misura annunciata. L’assommarsi di tali scenari, uno più preoccupante dell’altro, ci ha condotto alla situazione di emergenza che abbiamo sotto gli occhi: un nuovo governo impegnato con le migliori intenzioni a salvare il salvabile, il disagio che esce dai “ghetti d’Italia” e morde dove può, la crescente sfiducia nell’efficacia delle regole del gioco democratico. Fra non molto si annunciano nuove elezioni e la classe politica s’interroga su quale legge elettorale adottare, sulle primarie che verranno, sui leader di domani, su come evitare il peggio e che cosa proporre di un po’ meno peggio (anche il Papa ha ammonito: “Non promettete quello che non potete mantenere”). Ma questo è sufficiente, o non è piuttosto un tentativo di far rientrare tutto, e il più presto possibile, in una “normalità” che non esiste più e che in ogni caso non potrebbe ritornare? Perché la crisi è vera crisi e la verità è che le idee su cui scommettere sono poche. Specie se si tratta di fornire una visione di come potrà essere il nostro futuro.
Le soluzioni che ogni giorno ci vengono proposte possono essere più o meno efficaci, ma perché dalla crisi si esca rafforzati, modificati, e non soltanto normalizzati, è necessario un colpo d’ala. Che lo si tema o no, il futuro arriverà e non sarà tenero con chi si chiude in un rifugio a prova di cambiamenti, sperando così di sfuggirgli. Bisogna avere il coraggio di guardare avanti e di guardarsi attorno. Un modo per farlo è passare, il più presto possibile, da un concetto di società “ristretto” a un concetto “allargato” e più inclusivo. Mi permetto dunque di segnalare una questione di primaria importanza che se affrontata oggi, subito, adesso, non solo nobiliterebbe l’operato di un governo cosiddetto “tecnico” proprio in termini di “visione” della società che verrà, ma emenderebbe anche, sia pur tardivamente, un deficit di cultura e democrazia accumulatosi in Italia negli ultimi vent’anni. Non bisogna più esitare a legiferare sul tema dei diritti di cittadinanza per i figli dei migranti. È noto, ma assai poco ricordato, che la legislazione italiana rimane tra le più arretrate in Europa per quanto attiene la concessione della cittadinanza a chi nasce, studia e lavora nel nostro paese. La nostra legislazione è arretrata anche rispetto alla Costituzione degli Stati Uniti, dove è stabilito chiaramente che tutti coloro che vi sono nati ne sono cittadini. Da noi, invece, chi nasce da genitori stranieri può richiedere di diventare cittadino italiano solo una volta raggiunta la maggiore età, e solo dopo aver dimostrato di essere stato residente in modo regolare e ininterrotto nel territorio nazionale (e ha tempo solo un anno per farlo). Cittadinanza significa prima di tutto partecipazione, possibilità di concorrere – nei diritti e nei doveri – a una comunità di cui ci si sente parte. Le nostre seconde generazioni di migranti sono il fenomeno più evidente e palese dello scarto che ancora esiste tra un’integrazione di fatto e un’integrazione di diritto. Sono italiani in tutto e per tutto, tranne che per la nostra legge. Studiano nelle stesse scuole, giocano a calcio negli stessi campi sportivi, guardano gli stessi programmi televisivi, leggono gli stessi libri e coltivano le stesse aspirazioni dei loro compagni, eppure per la nostra legge non sono uguali a loro, non sono italiani. Non vedere l’assurdità di questo scarto vuol dire adottare la famosa “non politica delle porte sbattute in faccia” (Gad Lerner) e tutto ciò mal si concilia con qualunque istanza di modernità, di “uscita dalla crisi”, di costruzione di un nuovo modello di comunità ormai strutturalmente plurale.
Il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’ANCI, Graziano Delrio, e diciannove organizzazioni della società civile hanno promosso e sostenuto la campagna “L’Italia sono anch’io”, al fine di presentare due proposte di iniziativa popolare per la concessione della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri e per l’attribuzione del diritto di voto amministrativo ai residenti regolari da oltre cinque anni (alle ultime elezioni non ha potuto votare il 5,3% della popolazione residente). All’inizio di quest’anno sono state raccolte 200.000 firme, ben oltre le 50.000 necessarie per presentare le due proposte di iniziativa popolare, e lo scorso 6 marzo sono state depositate alla Camera dei deputati. Finora nessuna delle proposte presentate per modificare la legge 91/1992, che prevede lo ius sanguinis e vincola lo status giuridico dei figli alla cittadinanza dei genitori, ha avuto fortuna. Né quella dei deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Fli) nel 2009, né quella del senatore del Pd Ignazio Marino nel 2011 sono diventate legge. Stesso destino è toccato alla proposta sul diritto di voto degli stranieri alle elezioni amministrative presentata su iniziativa dell’ANCI di alcuni Comuni, con capofila Genova. Adesso però le tante migliaia di cittadini che attraverso le firme hanno fortemente espresso il loro pensiero vorrebbero essere prese in considerazione, vorrebbero che fosse fissata una data in cui la Camera avvii la discussione, vorrebbero trovare nuovi e più convinti sostenitori tra le forze politiche, vorrebbero condividere l’urgenza di emendare una legge non più adatta al momento storico.
 Il 25 maggio scorso si tenuto a Milano un incontro nel quale il sindaco Giuliano Pisapia si è impegnato a sostenere con forza, presso gli amministratori locali di altre città, le istanze delle due proposte di legge. Il comitato nazionale di L’Italia sono anch’io (di cui fa parte Il razzismo è una brutta storia, associazione promossa dagli stakeholders del gruppo Feltrinelli) ha poi promosso una conferenza che si terrà presso la Camera dei deputati mercoledì 6 giugno. Farà gli onori di casa il presidente Gianfranco Fini e sarebbe auspicabile un’ampia partecipazione bipartisan.
In una tempesta perfetta non è facile alzarsi a dire che cosa bisognerebbe fare. È più facile farlo: abbandonare cioè la combinazione di trivialità, incapacità e inumanità che ci ha accompagnati sin qui, e provarci.

Carlo Feltrinelli, editore e presidente di Il razzismo è una brutta storia

Carlo Feltrinelli

Carlo Feltrinelli è nato nel 1962. Vive e lavora a Milano. È autore di Senior Service, biografia del padre Giangiacomo, pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 1999. Il …