Questa storia ha quattro protagonisti: lo storico Federico Chabod, il giurista Piero Calamandrei, il critico letterario Luigi Russo e il romanziere Alberto Moravia. Quattro grandi intellettuali che, noti antifascisti nel dopoguerra, spesso durante il fascismo avevano mantenuto un atteggiamento di cautela e inazione politica, cedendo talora alla collaborazione con il regime, le sue istituzioni culturali, scientifiche e di governo, o affermandosi nel mondo letterario fascista. Nel dopoguerra ciascuno di loro ridefinì il proprio percorso durante il Ventennio, rappresentandolo, almeno in pubblico, come coerentemente antifascista. Se l’intellettuale viene solitamente immaginato come un anticonformista e un critico del potere, in realtà tende di frequente a adeguarsi alla maggioranza e a esprimerne gli orientamenti. Contano i condizionamenti politici e istituzionali, particolarmente in una dittatura; conta l’esigenza di affermarsi sul piano culturale, scientifico o artistico; conta, in ogni tempo, anche l’attitudine dell’intellettuale a dar voce e interpretare i sentimenti dei più e, in alcuni casi, a cedere al potere. Se nel dopoguerra tutte e quattro le figure le cui storie si raccontano qui iniziarono a fare i conti con il proprio passato, la prevalente – se non esclusiva – autoassoluzione e la costruzione di memorie sostitutive da parte degli intellettuali rispetto all’implicazione con il regime hanno contribuito a scagionare la società italiana rispetto alle sue complessive responsabilità e ai suoi atteggiamenti conformistici nel fascismo.
Gli intellettuali sono per definizione anticonformisti?
Un’indagine sulle trasformazioni, le azioni e le inazioni di quattro grandi protagonisti della cultura italiana tra fascismo e dopoguerra e su come fecero i conti con il passato del Ventennio: Federico Chabod, Piero Calamandrei, Luigi Russo e Alberto Moravia.