Intervista a Marcela Serrano su Arrivederci piccole donne

Intervista a Marcela Serrano su Arrivederci piccole donne

Perché ha scritto Arrivederci piccole donne?
Il romanzo è una sorta di remake di Piccole donne di Louisa May Alcott. Forse può sembrare strana l’idea di rifarsi a un classico dell’Ottocento. In realtà, si tratta di una scelta particolare che ha origine nella mia adolescenza. Molte generazioni di donne, inclusa la mia, si sono formate su questo romanzo, per moltissime di noi quello della Alcott è stato il primo romanzo che abbiamo letto. Mentre i ragazzini si appassionavano le avventure di Salgari o Verne, noi sognavamo con le storie della Alcott. Il suo romanzo ha definito la nostra identità femminile, per tutta la vita. E quando ho riscoperto quanto fosse profondamente radicato in me, quando mi sono resa conto che la mia stessa vita letteraria era stata fortemente influenzata dal tema delle quattro sorelle March ho deciso di farle rivivere, trasportandole nel Ventesimo secolo a Santiago del Cile, nel mio paese e nella mia epoca. Volevo far rivivere nell’attualità le quattro piccole donne della mia infanzia. Per questo ho scritto il romanzo. [...]

Le voci di Tristano raccontate da Tabucchi. Intervista all’autore di Tristano muore

Le voci di Tristano raccontate da Tabucchi. Intervista all’autore di Tristano muore

La letteratura, come grande serbatoio in cui andremo tutti ad abitare, è quasi un aldilà che è qui tra noi, è il grande spazio della libertà. Se c'è un'erosione dello spazio della letteratura, una prospettiva totalitarista acquisisce più credibilità: sicuramente sarebbe un duro colpo, una vera mazzata alla libertà di essere e di pensare, uno strizzare la nostra anima. È qui che vedo il vero grande pericolo: nel divorare, erodere sempre più questo spazio di grande libertà che è la letteratura per creare degli alieni o degli omuncoli o comunque delle creature viventi molto remissive che consumano, nascono, vivono, muoiono, come fossero indirizzate verso la prospettiva di trasformarsi in vegetali.

Il ritorno di Jo. La Serrano riscrive un classico

Il ritorno di Jo. La Serrano riscrive un classico

‟Nel romanzo c'è una forte enfasi sulla storia del Cile, dove il golpe militare è un punto fermo, fa da spartiacque nella storia delle protagoniste. Ma mi interessava soprattutto raccontare della perdita di un mondo rurale, che ha a che fare con la mia infanzia. È come tornare a sentire le proprie radici, sapere di appartenere a un luogo in cui, peraltro, vivere oggi è un piccolo lusso. C'è un presidente socialista, la cultura è più importante che in passato, resta molto da fare ma si è sulla buona strada. Pinochet è un cadavere politico, di cui perfino la destra tenta di disfarsi, e del quale si occupa la giustizia. Il dolore, la rabbia, i morti restano e fanno parte delle nostre storie personali, ma da un punto di vista politico il paese è avanzato molto sulla strada della riconciliazione.”

Saudade & gulash. Budapest di Chico Buarque

Saudade & gulash. Budapest di Chico Buarque

‟La dittatura del mio paese pur commettendo delitti fu meno sanguinosa delle altre, fino quasi a stemperarsi negli ultimi anni. Ma la cosa più terribile di un paese sotto i militari, sotto la dittatura, al di là della sua efferatezza, è il senso di paura, d’incertezza che pervade tutta la vita pubblica e le singole esistenze di ogni individuo. Quando ero in Italia negli anni Sessanta mi dicevano di non tornare perché non potevo sapere cosa mi sarebbe successo. Il pericolo di una dittatura non totalitaria è che chi scrive canzoni, romanzi, film possa limitarsi lui stesso, possa autocensurarsi perché non è netta la linea di demarcazione tra il lecito e il proibito, ma se si sa sfruttare questa situazione è anche un’opportunità. Per esempio io sapevo che i testi col mio nome sarebbero stati censurati e allora scrissi con un altro nome, Julinho da Adelaide, il mio samba Acorda amor (una coppia di amanti all’irruzione all’alba della polizia urla ‟Chiama i ladri, chiama i ladri”, ndr). C’era la possibilità di un esercizio dell’intelligenza che non era possibile in altri paesi sudamericani. Sono stati comunque anni terribili proprio per questa mancanza di prospettive future, stai all’estero e non sai quando potrai ritornare nel tuo paese, tra la tua gente, e intanto ti domandi se non stai sbagliando a non tornare; fuori magari sei accolto bene ma a lungo andare resti agli occhi di tutti un esule, uno che non è più di là ne sarà mai completamente di qua.”