L'opinione di Ahmed Rashid: Afghanistan. L’alleanza a Kabul

16 Novembre 2001
Di fronte all’inarrestabile campagna di bombardamenti aerei statunitensi e all’offensiva dell’Alleanza del Nord, i taliban avevano pensato di compiere una ritirata tattica dall’Afghanistan settentrionale. Ma hanno gravemente sottovalutato la potenza e la rapidità con cui si sarebbero mosse le forze schierate contro di loro. Dopo che il 9 novembre l’Alleanza ha conquistato la città settentrionale di Mazar-e-Sharif, la ritirata dei taliban si è trasformata in rotta. Cinque giorni dopo l’Alleanza è entrata a Kabul, mentre i taliban fuggivano precipitosamente verso le loro roccaforti nell’Afghanistan meridionale.
La caduta di Kabul e dell’Afghanistan settentrionale è il primo successo significativo della campagna militare statunitense dopo quasi sei settimane di intensi bombardamenti. A questo punto gli strateghi militari di Washington tirano un sospiro di sollievo dopo il fuoco di critiche ricevute all’interno e all’estero per la mancanza di progressi nella loro guerra contro il terrorismo. Sarà anche il primo banco di prova politico per gli alleati degli Stati Uniti, quell’Alleanza del Nord che per i suoi tristi precedenti e per l’incapacità di governare dimostrata nel passato sarà tenuta sotto stretta osservazione sia dagli afgani sia dai taliban.
In ogni caso la campagna militare dell’Alleanza dovrà essere rapidamente sostituita da una strategia politica che abbia l’obiettivo di insediare nelle città conquistate delle amministrazioni multietniche con un’ampia rappresentanza delle forze in campo. Solo così potrà ottenere la fiducia della popolazione e determinare importanti defezioni dal gruppo etnico pashtun, nel sud del paese, da dove provengono i taliban. E solo allora le agenzie umanitarie dell’Onu potranno rientrare nel paese per affrontare la drammatica crisi umanitaria e permettere alle fazioni afgane e alla comunità internazionale di muoversi rapidamente per aiutare gli afgani a formare un nuovo governo alternativo ai taliban.

L’avanzata dell’Alleanza
Dopo aver preso la città di Mazar-e-Sharif, le forze dei tre comandanti dell’Alleanza sono avanzate rapidamente verso est, ovest e sud, conquistando cinque province dell’Afghanistan settentrionale – Balkh, Samangan, Sar-e-Pol, Jowzjan e Faryab –, mettendo in fuga i soldati taliban, uccidendone centinaia e catturandone migliaia. Con la presa di Herat, il 12 novembre, e la resa, annunciata ma non ancora confermata, dei seimila soldati taliban presenti, adesso sono nelle mani dell’Alleanza anche le tre provincie occidentali di Herat, Ghor e Badghis. Herat è la porta verso Kandahar, la roccaforte meridionale dei taliban. Con le defezioni in massa dal fronte taliban, è caduta anche la provincia di Bamiyan, nell’Afghanistan centrale.
I taliban erano pronti a ritirarsi verso le loro roccaforti dell’Afghanistan meridionale una volta che la situazione si fosse fatta difficile. Ma hanno gravemente sottovalutato la forza dei bombardamenti statunitensi, la determinazione dell’Alleanza, rifornita di nuovi armamenti e rivitalizzata, e la loro crescente impopolarità tra gli afgani. Il risultato è stato una rotta anziché una ritirata tattica. Esattamente cinque anni fa – il 27 settembre 1996 – i taliban salivano sui loro pick-up e prendevano Kabul dopo un’offensiva lampo di tre giorni. All’epoca il difensore di Kabul ed ex leader dell’Alleanza, Ahmad Shah Massud, effettuò una brillante ritirata notturna dalla capitale, evacuando la maggior parte delle sue truppe, pur lasciandosi dietro gran parte dei mezzi corazzati e dell’artiglieria pesante.
I taliban pensavano di poter fare lo stesso da Mazar-e-Sharif e da altre città dell’Afghanistan settentrionale, una volta che l’Alleanza avesse lanciato l’offensiva. Ma hanno sottovalutato la violenza degli attacchi dei caccia statunitensi.

I divari politici
I taliban hanno anche sottovalutato le forze dell’Alleanza, che negli ultimi tre anni sono state bloccate nel nord del paese. Grazie allo scudo della copertura aerea statunitense, negli ultimi due mesi Russia, Iran e India hanno fornito all’Alleanza grandi quantità di armi e munizioni. La loro determinazione può essere giudicata dal fatto che molti dei feriti dell’Alleanza sono stati colpiti dalle esplosioni di mine anziché dai proiettili, mentre attraversavano i campi minati per attaccare le difese taliban.
Ma la preoccupazione più grande dei taliban sono state le rivolte della popolazione civile contro il loro governo, considerato una forza occupante proveniente dal sud. Senza il sostegno dei cittadini, i taliban sono stati incapaci di ripararsi dai bombardamenti disperdendo le loro truppe tra i civili, come invece hanno fatto nel sud, occupando case, moschee e negozi. Ciò nonostante i taliban controllano ancora l’Afghanistan meridionale e orientale e il lungo e permeabile confine con il Pakistan, da dove continuano a raggiungerli i rifornimenti di cibo e munizioni e i militanti islamici pachistani ancora disposti ad attraversare la frontiera per unirsi a loro.
L’Alleanza, costituita dai gruppi etnici settentrionali – uzbechi, tagichi e hazari –, non ha sostegno né alcuna influenza politica fra le tribù pashtun del sud. L’effetto domino, innescato dalla caduta delle città al nord, potrebbe non durare a lungo, nemmeno con la conquista di Kabul: a pochi chilometri dalla capitale multietnica ci sono le tribù pashtun, pesantemente armate. Per questo Stati Uniti, Gran Bretagna e Pakistan hanno invitato l’Alleanza a ritardare la conquista di Kabul: perché senza una rappresentanza pashtun nella capitale, i pashtun del sud non faranno che schierarsi ancora di più con i taliban, che già accusano l’Alleanza e gli Stati Uniti di voler dividere il paese. La comunità internazionale vuole che si riunisca al più presto un consiglio di tutti i gruppi afgani, guidato dall’ex re Zahir Shah, per formare un governo di transizione post-taliban. Ma nel pomeriggio del 12 novembre l’Alleanza ha ignorato i consigli degli Stati Uniti e ha marciato su Kabul, sfondando le prime due linee delle difese taliban.
La mossa più importante dell’Alleanza, a questo punto, dovrebbe essere politica anziché militare. Con la stessa rapidità con cui ha fatto avanzare il fronte militare, ora deve insediare un’amministrazione nelle città che ha conquistato, impedire i regolamenti di conti e le vendette interetniche e garantire la sicurezza, in modo che le operazioni umanitarie dell’Onu possano raggiungere la popolazione con cibo e altri aiuti.
Ma l’Alleanza è estremamente fragile e, via via che i vari comandanti otterranno delle vittorie locali, tra loro cresceranno le differenze politiche. Il nocciolo duro dello schieramento entrato a Kabul è rappresentato dai tagichi, guidati dai successori di Massud. I leader politici – il ministro degli Esteri Abdullah, il ministro della Difesa Younis Kanouni e il capo dell’esercito, il generale Mohammed Fahim – sono favorevoli alla costituzione di un governo collegiale, presieduto dall’ex re. Il presidente Burhanuddin Rabbani, che formalmente è il capo dell’Alleanza e della fazione tagica, invece è contrario all’idea che il re svolga un ruolo importante.

Il fronte meridionale
Mazar-e-Sharif è stata presa da tre comandanti, alla testa delle forze di altrettanti gruppi etnici: uzbechi, tagichi e hazari. Non è ancora chiaro se hanno raggiunto un accordo per governare insieme la città o dividerla in tre feudi, come hanno fatto in passato. Nell’Afghanistan centrale, diverse fazioni di hazari e tagichi hanno conquistato la città di Bamiyan e ancora devono raggiungere un accordo politico. La situazione è chiara solo a ovest, dove Ismael Kahn gode di indiscussa fiducia e autorità tra tutte le forze dentro e intorno a Herat.
Il 1° ottobre l’Alleanza ha stretto formali rapporti con l’ex re e istituito un Consiglio supremo per l’unità nazionale. Teoricamente tutti i comandanti ora dovrebbero chiedere al Consiglio di inviare i suoi rappresentanti per governare le città, stabilendo amministrazioni civili multietniche che darebbero ai comandanti il compito di garantire la sicurezza. Questa sarebbe la prima occasione per stabilire dei consigli transitori in varie parti del paese, che potrebbero poi diventare un governo nazionale e un’alternativa al regime taliban. Per i pashtun è essenziale assistere all’avvio di questo processo, perché solo allora cominceranno a considerare l’idea di disertare dai taliban e abbandonare bin Laden.
Con le forze di Ismail Khan sulla strada da Herat a Kandahar, i taliban potrebbero consegnare le città meridionali senza combattere, ma si ritirerebbero sulle montagne e continuerebbero la guerriglia. Senza i transfughi pashtun e taliban, l’Alleanza del Nord non può compiere operazioni efficaci di rastrellamento contro i taliban sulle montagne del sud. A meno di diserzioni più massicce dalle file dei taliban, c’è il rischio di una sanguinosa guerra interetnica nel sud, una guerra in cui bin Laden guiderà la resistenza più strenua.

Traduzione di Nazzareno Mataldi

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