Enrico Franceschini: Caso Ciriello, Israele ci ripensa "Non fu ucciso dai nostri soldati"

23 Agosto 2002
Gerusalemme - Non si sa chi lo ha ammazzato, ma di certo non sono stati i soldati israeliani. È questo il sorprendente risultato dell´inchiesta condotta dalle forze armate dello Stato ebraico sulla morte di Raffaele Ciriello, il fotoreporter italiano ucciso il 13 marzo scorso da una sventagliata di proiettili in una strada di Ramallah, l´unico giornalista straniero che ha perso la vita in due anni di Intifada. Israele respinge ogni responsabilità, contraddicendo testimonianze e ricostruzioni indipendenti secondo cui a uccidere Ciriello era stata una raffica di mitra partita da un carro armato israeliano. Il dubbio residuo, piuttosto, riguardava le circostanze dell´episodio: se si è trattato di un tragico incidente o di un deliberato omicidio, cioè se l´equipaggio del tank si rese conto o meno di avere nel mirino un fotografo «armato» di un´innocua videocamera portatile e non un guerrigliero palestinese con il kalashnikov in pugno. Ma l´indagine militare israeliana nega qualunque addebito: «Non ci sono prove, né conoscenza, che alcuna delle nostre unità abbia aperto il fuoco in direzione di Ciriello», afferma senza mezzi termini il rapporto. Ovvero, deve avergli sparato qualcun altro.
È una tesi che contraddice i testimoni oculari, e la logica. Quel mattino il 42enne Ciriello era insieme a due inviati della Rai, Amedeo Ricucci e Roberto Sanna. Accanto a loro c´erano anche dei palestinesi armati. Quando il gruppetto gira l´angolo di piazza Manara, nel centro di Ramallah, vede un carro armato israeliano a duecento metri di distanza, e prontamente indietreggia. Un palestinese si sporge a guardare per un attimo, poi si nasconde. Quindi è Ciriello ad andare in mezzo alla strada, da dove punta la sua piccola videocamera verso il tank. Immediatamente risuona una raffica. Il fotografo si accascia. Trasportato nel più vicino ospedale, muore poco dopo sul tavolo operatorio. Ricucci insiste che in quel momento e in quell´area non c´erano scontri. In ogni caso sarebbe strano che dei palestinesi avessero aperto il fuoco in direzione di altri palestinesi.
Il rapporto delle forze armate aggiunge che Ramallah era stata dichiarata «zona militare», chiusa anche alla stampa, notando: «Giornalisti che entrano in zona di guerra si mettono coscientemente e sotto la propria responsabilità in una situazione pericolosa, specie se non concordano i propri movimenti con le autorità militari».
Commenta l´organizzazione «Reporters senza Frontiere», ricordando che circa 50 giornalisti stranieri sono rimasti feriti nel corso dell´Intifada: «La verità è che le forze israeliane agiscono in totale impunità. La loro reazione abituale è che l´esercito non è mai responsabile. Noi continuiamo a chiedere che Israele ammetta l´errore, presenti le scuse e punisca i soldati coinvolti in questo incidente». Una posizione condivisa da Amnesty International, dall´Associazione Corrispondenti Stranieri in Israele e da altri organismi internazionali. Fonti della Farnesina ieri «prendendo atto della versione diversa fornita rispetto a quella dell´epoca», hanno detto che il ministero si riserverà di «chiedere in via diplomatica agli israeliani spiegazioni sulle conclusioni a cui sono giunti».
Anche nello Stato ebraico ci sono reazioni di sdegno ai risultati dell´inchiesta militare. In un lungo articolo dal titolo «Fine amara», che uscirà questa mattina, l´autorevole quotidiano Haaretz rammenta che all´indomani della morte di Ciriello il ministro degli Esteri israeliano, Shimon Peres, presentò le proprie scuse ai familiari del fotografo e promise una rapida inchiesta, «i cui risultati verranno pubblicati». In realtà i risultati non sono stati pubblicati, ma solo divulgati ieri dietro una richiesta dei media; e comunque Haaretz domanda: «Come è possibile che le forze armate neghino ogni responsabilità, dopo che il governo israeliano si è scusato per l´accaduto?»

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …