Boris Biancheri: Guardare oltre Saddam

12 Novembre 2002
Dalla fine dell’ultima guerra mondiale a oggi la carta geografica del mondo non è cambiata attraverso l’uso delle armi ma solo attraverso lo spontaneo disfacimento degli imperi. Negli Anni Cinquanta e Sessanta la fine degli imperi coloniali europei, poi la disgregazione dell’impero sovietico e da ultimo la scomparsa del mini-impero jugoslavo hanno disegnato i confini tra gli Stati così come sono oggi.
Vari tentativi fatti in questi cinquant’anni di cambiarli con la forza - in Corea, in Palestina, in Kuwait, tra Iran e Iraq - o qualche volta con il negoziato, non hanno avuto esito. Siamo ora forse alla vigilia di un cambiamento quale non si era avuto in mezzo secolo di storia. Perché la vera posta della partita in corso con l’Iraq mi sembra non sia solo Saddam Hussein, e neppure solo l’Iraq, ma tutto l’assetto politico del Vicino e Medio Oriente.
E più che il terrorismo (le cui connessioni con Saddam Hussein sono state da parte anglo-americana largamente proclamate ma scarsamente dimostrate) il movente che spinge la Casa Bianca a togliere di mezzo in un modo o nell’altro il dittatore iracheno credo sia dato dal proposito di rivedere gradualmente, partendo dal suo centro critico, la mappa geopolitica di una delle regioni più instabili, oscure, infiammabili e supremamente necessarie allo sviluppo del mondo.
Dal 1948 a oggi il Medio Oriente è stato il potenziale focolaio di una crisi globale che non è scoppiata mai. Quando il mondo arabo si è mobilitato contro Israele, quest’ultimo è stato in grado di badare a se stesso e il conflitto è restato nell'ambito regionale. Saddam Hussein ha provato due volte ad affermare la sua supremazia nell’area aggredendo l’Iran prima e il Kuwait poi, con i risultati che sappiamo. Nessuno dubita che ci proverebbe di nuovo se ne avesse la possibilità.
Ma se finora, malgrado tutte le vicissitudini, la fragilità mediorientale è rimasta confinata in sé stessa, non è affatto detto che sia così anche in futuro. Il conflitto israelo-palestinese resta aperto, l’Iraq è sempre una minaccia, l’Arabia Saudita barcolla tra una leadership senescente e un popolo inscrutabile, lo Yemen rischia di occupare il posto che aveva l’Afghanistan nell'ospitalità del terrorismo.
E su tutta l’area, la rete di Al Qaeda alimenta un radicalismo islamico potenzialmente esplosivo. Il problema non è quindi quel che accadrà a Saddam Hussein, dato che gli Stati Uniti ne hanno deciso la perdita e gli Stati arabi non andranno oltre la solidarietà verbale, ma quel che accadrà dopo Saddam Hussein. I più furbi si allineano già al futuro vincitore: la Siria vota in favore della risoluzione americana in Consiglio di Sicurezza e la Autorità Palestinese accetta, quasi senza riserve, il piano di pace americano. La Lega Araba si rimette, con voce flebile, all’Onu.
Ma quale ordine Washington ha in mente? Consolidare il precario assetto politico del Medio Oriente e del Golfo sta bene ma, a parte Israele, con quali punti fermi? Bush ha parlato più volte della missione, di cui l’America si deve far carico, di portare la democrazia nell’universo arabo e musulmano.
E’ un proposito realistico? Sono forse queste le parole che, più di altre espressioni bellicose che vengono dalla Casa Bianca, sconcertano e preoccupano i governanti arabi che si trovano al potere.

Boris Biancheri

Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …