Gianni Rossi Barilli: A Marrakech, sulla riva del Po
Il discorso cambia, però, se dagli avvenimenti in Iraq ci si sposta ai loro effetti sul mondo arabo: "I musulmani devono riflettere molto bene, perché per essere in grado di parlare con gli americani bisogna essere forti". Un primo passo verso la soluzione del problema sarà il rovesciamento dei governi arabi filoamericani corrotti che fanno gli interessi loro e dell'occidente anziché quelli del popolo. "Quest'idea - dice Bouchta - si sta facendo strada, e nei prossimi anni assisteremo a molti cambiamenti politici. La guerra in Iraq non porterà la pace". Tutto questo, comunque, non ha niente a che fare con la presenza degli immigrati musulmani in Italia: "Siamo qui come ospiti e rispettiamo le leggi di questo paese, come dimostra il fatto che non c'è stato, neppure in questi giorni, nessun atto di violenza o di disobbedienza da parte della comunità musulmana. Siamo tristi, ma la gente lavora, i bambini vanno a scuola, convivenza e integrazione continuano".
Continuano tuttavia con più fatica, a parere di Kutaiba Younis, segretario dell'Unione democratica arabo-palestinese che a Torino vive da molti anni e lavora come educatore in un dormitorio pubblico. "La guerra - spiega - ha creato un fossato più profondo tra immigrati arabi e italiani. Gli immigrati, nel luogo comune, diventano tutti potenziali criminali e sono sotto tiro. La repressione aumenta e con essa il disagio sociale in cui molti si trovano. Torino per alcuni aspetti è una città all'avanguardia in Italia per l'accoglienza degli stranieri, ci sono spazi di aggregazione, servizi specifici e manifestazioni contro il razzismo. Ma non si può parlare di piena integrazione, le politiche sociali sono insufficienti rispetto ai bisogni. L'emarginazione si manifesta tutti i giorni, con la miseria, la mancanza di diritti e le soffitte senza cesso condivise in dieci. Non bastano i mediatori culturali per rimediare".
"La guerra - afferma Kutaiba Younis - è vissuta come un'aggressione contro tutto il mondo arabo, una nuova crociata. Per questo persino uno come Saddam Hussein ha potuto diventare un simbolo della resistenza araba. Se fosse stato ucciso in battaglia sarebbe diventato un nuovo Saladino; invece questa fine ingloriosa ha prodotto delusione e disorientamento. Le manifestazioni contro la guerra che ci sono state in Italia, comunque, sono servite ad attenuare il senso di isolamento, a creare alleanze, anche se a sinistra qualcuno rimane sconvolto quando sente gridare in piazza "Allah è grande", senza capire che è più un dato di tradizione culturale che una manifestazione di fondamentalismo. C'è tensione, paura e rabbia, ma anche speranza per la presa di coscienza delle masse arabe, che in tanti paesi si sono mobilitate. C'è desiderio di libertà e democrazia, ma c'è il rischio che di fronte all'impotenza la gente trovi rifugio nell'estremismo religioso. Per evitarlo bisogna impegnarsi molto di più per sostenere, anche materialmente, le componenti laiche e progressiste delle società arabe, altrimenti dovremo rassegnarci a Bin Laden".
A casa di Hasti Fatah, architetto kurdo-iracheno a Torino da un quarto di secolo, sposato con un'italiana e padre di due bambini, il televisore trasmette i programmi di Kurdistan tv, con le scene di esultanza dei kurdi liberati da Saddam. "Al di là di chi l'ha causata - commenta Hasti - la caduta di Saddam è una buona cosa. Io però non ero d'accordo con l'intervento unilaterale angloamericano, e i kurdi, pur ringraziandoli, hanno già fatto presente agli americani che se ne dovranno andare. L'occupazione non può durare molto, la gente non vuole una nuova tirannia. E' una bomba a orologeria che può scoppiare o essere disinnescata. Per disinnescarla occorrono saggezza, fiducia nelle capacità di autogoverno negli iracheni e concorso della comunità internazionale. Un discorso analogo vale per l'integrazione degli immigrati musulmani in Italia, che sta facendo dei passi indietro. Bisogna smetterla di descriverli come persone violente o potenziali attentatori, come fa molto spesso la tv, e lanciare messaggi di conciliazione".