Tullio Kezich: Ciccio Ingrassia, maestro di finzione che non fingeva mai

29 Aprile 2003
Da quando, cioè gli schermi inamovibili del Cinemascope costrinsero i gestori delle sale a rinunciare alle attrattive dell’avanspettacolo, del resto divenuto economicamente insostenibile; e fu allora che cominciò la migrazione degli sfrattati della passerella verso il cinema e la tv. La sera in cui per la prima volta la coppia Franchi e Ingrassia esplose nel cono di luce del Teatro, io c’ero: fu come molti ricordano, nel 1961 al Sistina di Roma, sotto l’egida prestigiosa di Garinei e Giovannini. Dominatore assoluto di «Rinaldo in campo», favola musicale ambientata ai tempi della spedizione dei Mille, un Domenico Modugno in forma smagliante era al centro dell'attenzione; ma al momento delle chiamate finale si accorse, senza ombra d’invidia, perché era generoso e perché li aveva scoperti lui, che i due proletari della risata ramazzati in una piazza siciliana stavano ritagliandosi un’ampia fetta di quel memorabile successo . Imponendo la loro comicità stralunata, imprevedibile e aggressiva, che poi avrebbero freneticamente duplicato in oltre 150 film.
Qualcuno in platea storse il naso, come di fronte a un degrado in contrasto con le eleganti tradizioni della casa, ma uno dei più contrari (dirò il peccato e non il peccatore) fu proprio il giovane regista che anni dopo avrebbe chiamato Ingrassia nel cast di un film raffinatissimo. Perché Ciccio ha vissuto, nella sua particolare e originale dimensione, lo stesso destino di Totò . Partenza in chiave poverista, carriera faticosa anche se baciata dal successo, popolarità avvilita da un marchio plebeo; in un secondo momento, per contrasto, la smania degli intellettuali di appropriarsi del personaggio, di nobilitarlo, di redimerlo. Per giunta nel suo caso si era subito configurato il rischio che corre la «spalla», quello di venir considerato come un semplice sostegno agli estri buffoneschi del comico.
Insomma molti dicevano «quello bravo è Franchi, l’altro si limita a dargli una mano, da solo non resisterebbe». Niente di più sbagliato e Ciccio lo dimostrò sul campo quando scioltosi dalla coppia fu arruolato da Fellini, Vancini, Petri, Comencini, Scola e altri registi di prim’ordine. Ogni volta un personaggio differente disegnato per dono d’istinto con tratti spesso geniali, alla luce di un’inventiva forte di salde ascendenze antropologiche. Lavorare con Ciccio Ingrassia è stato una gioia per tutti, inclusi i colleghi, un divertimento unico nella continua rivelazione di un talento che preservando lo smalto della semplicità azzardava le impennate dell’improvvisazione.
Sereno anche nel colmo delle prove più rischiose, restava fin troppo consapevole dei propri limiti. Seppe rifiutare le lusinghe del teatro cosiddetto serio, le proposte di chi gli offriva Pirandello e Beckett. Per istinto avvertì sempre il confine fra azzardo e intellettualismo e seppe tenersi fuori dalle situazioni che sentiva estranee al proprio temperamento. Maestro della finzione, nelle scelte non fingeva mai. Questo tipo di attore, che Ruzante avrebbe definito «snaturale» poteva nascere solo sui palchi del teatro rozzo che oggi non esistono più. Fino all’ultimo Ingrassia ce ne ha fatto sentire il rimpianto; sicché salutandolo sappiamo che non rimpiangeremo lui solo, ma tutto un mondo svanito con l’«esorciccio».

Tullio Kezich

Tullio Kezich (1928-2009), autore di numerosi volumi e commediografo largamente rappresentato, è stato critico cinematografico al “Corriere della Sera”. Con Feltrinelli ha pubblicato la biografia di Fellini, Federico, nel 2002 …