Boris Biancheri: Dove nasce il terrore
19 Maggio 2003
Molti di coloro che hanno avversato la politica americana in Iraq vedono nella catena di attentati terroristici di questi giorni, da Riad alla Cecenia, dal Marocco a Israele, una conferma delle loro previsioni: e cioè che la guerra avrebbe alimentato e non ridotto il terrorismo. Ora, vi possono essere buone ragioni per contestare la politica americana in Iraq, la prima delle quali è che gli Stati Uniti hanno addotto dei motivi - il disarmo di Saddam Hussein - che non hanno convinto nessuno e che alla prova dei fatti si sono rivelati infondati. Ma non per questo è lecito fare connessioni tra il terrorismo e la guerra, quasi che se quella non vi fosse stata questi attentati non avrebbero avuto luogo. Il terrorismo attuale coinvolge, che lo voglia o no, tutto il mondo occidentale ed è rischioso ridurne semplicisticamente le cause a questo o a quell’episodio, a questa o a quella politica.
Lo stesso attacco alle Torri, che ha dato luogo alla mobilitazione psicologica americana che sappiamo e di cui l’attuale politica di Bush è diretta filiazione, non è l’origine della battaglia del radicalismo islamico contro l’Occidente ma ne costituisce semmai la pubblica dichiarazione ufficiale. Era stato, come sappiamo, preceduto da anni e anni di attività terroristica condotta da organizzazioni ben note come Hezbollah e Hamas nell’area mediorientale in connessione con il problema palestinese, ma anche da molti gruppi più o meno noti come in Sudan, dove si è parzialmente identificato con lo Stato, in Cecenia, nelle Repubbliche dell’Asia Centrale, nello Yemen, in Algeria, in Turchia e altrove agendo dentro e fuori il mondo islamico e colpendo gli obiettivi più diversi.
Talvolta, per esempio in Israele e in Cecenia, il terrorismo si riconnette a movimenti di liberazione nazionale; altre volte, per esempio in Algeria o in Tagikistan, a obiettivi di puro carattere interno. Sappiamo anche che non tutto il terrorismo odierno nasce nel radicalismo islamico: quello basco e quello tamil hanno radici nazionalistiche, quello colombiano ha radici sociali. Ma è un dato di fatto che le organizzazioni radicali islamiche sono di gran lunga le più efficaci e aggressive: d’altronde, su 20 conflitti armati censiti dall’Onu nel 2001 l’Islam vi era coinvolto in 16 e su 51 Stati definiti dall’organizzazione non governativa Freedom House come «totalmente privi di libertà», 46 sono in tutto o in parte musulmani.
Può sembrare assurdo che il radicalismo islamico si proponga realmente di imporsi agli Stati Uniti d’America o all’intero mondo occidentale piegandone la volontà e sovvertendone valori e modi di vita, ma non più assurdo di quanto lo fosse a suo tempo il proposito delle Brigate Rosse in Italia o della Raf in Germania di destabilizzare con qualche migliaio di militanti la struttura politica e amministrativa di due grandi e progrediti Paesi. Manteniamo pure le nostre opinioni sulla guerra in Iraq, quali che siano, ma non responsabilizziamo noi stessi o gli Stati Uniti d’America per le centinaia di morti che hanno fatto gli ultimi attentati o per quelli che faranno le decine di altri attentati che purtroppo vedremo in futuro.
Lo stesso attacco alle Torri, che ha dato luogo alla mobilitazione psicologica americana che sappiamo e di cui l’attuale politica di Bush è diretta filiazione, non è l’origine della battaglia del radicalismo islamico contro l’Occidente ma ne costituisce semmai la pubblica dichiarazione ufficiale. Era stato, come sappiamo, preceduto da anni e anni di attività terroristica condotta da organizzazioni ben note come Hezbollah e Hamas nell’area mediorientale in connessione con il problema palestinese, ma anche da molti gruppi più o meno noti come in Sudan, dove si è parzialmente identificato con lo Stato, in Cecenia, nelle Repubbliche dell’Asia Centrale, nello Yemen, in Algeria, in Turchia e altrove agendo dentro e fuori il mondo islamico e colpendo gli obiettivi più diversi.
Talvolta, per esempio in Israele e in Cecenia, il terrorismo si riconnette a movimenti di liberazione nazionale; altre volte, per esempio in Algeria o in Tagikistan, a obiettivi di puro carattere interno. Sappiamo anche che non tutto il terrorismo odierno nasce nel radicalismo islamico: quello basco e quello tamil hanno radici nazionalistiche, quello colombiano ha radici sociali. Ma è un dato di fatto che le organizzazioni radicali islamiche sono di gran lunga le più efficaci e aggressive: d’altronde, su 20 conflitti armati censiti dall’Onu nel 2001 l’Islam vi era coinvolto in 16 e su 51 Stati definiti dall’organizzazione non governativa Freedom House come «totalmente privi di libertà», 46 sono in tutto o in parte musulmani.
Può sembrare assurdo che il radicalismo islamico si proponga realmente di imporsi agli Stati Uniti d’America o all’intero mondo occidentale piegandone la volontà e sovvertendone valori e modi di vita, ma non più assurdo di quanto lo fosse a suo tempo il proposito delle Brigate Rosse in Italia o della Raf in Germania di destabilizzare con qualche migliaio di militanti la struttura politica e amministrativa di due grandi e progrediti Paesi. Manteniamo pure le nostre opinioni sulla guerra in Iraq, quali che siano, ma non responsabilizziamo noi stessi o gli Stati Uniti d’America per le centinaia di morti che hanno fatto gli ultimi attentati o per quelli che faranno le decine di altri attentati che purtroppo vedremo in futuro.
Boris Biancheri
Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …