Romeo Bassoli: Il terremoto? Quando la Natura nell’uccidere usa una logica di classe

26 Maggio 2003
Armenia, dicembre 1988, un terremoto del 7° grado della scala Richter si abbatte sulla zona meridionale del paese. I morti sono 25.000. San Francisco, 17 ottobre 1989. Una scossa di terremoto di magnitudo 7,1 scuote l'area di San Francisco. I morti sono 75. Giovedì scorso, in Algeria un sisma di grado 6,7 scuote l'Algeria settentrionale. I morti sono, secondo un conto di ieri sera, circa 2000.
Perché questa disparità? Perché San Francisco ha meno morti dell'Algeria o dell' Armenia, perché il Friuli o l'Umbria hanno meno morti della Turchia (ma anche della Campania e del Molise)? Gli eventi che portano ad allungare o a restringere l'elenco delle vittime di un terremoto possono essere molti. Ma è difficile non osservare che se la terra si muove sotto i piedi dei poveri, i disastri hanno effetti molto peggiori. Il motivo è facilmente intuitibile: i poveri vivono in zone più densamente abitate, dentro abitazioni costruite senza regole e senza controlli, quindi con materiale di scarso valore incapace di reggere alle oscillazioni. I paesi poveri non hanno le risorse per rafforzare le loro abitazioni di trenta, quaranta anni fa attraverso le tecnologie edilizie più recenti. I poveri non hanno dispositivi automatici che bloccano l'erogazione del gas o dell'elettricità - come in Giappone - quando la scossa supera il 4° grado Richter. I poveri non hanno strutture sanitarie attrezzate per intervenire prontamente sul luogo di un terremoto, nè gru sofisticate per sollevare le macerie. Quindi, pagano di più in termini di vittime. E questa è una conseguenza immediata, visibile, di quell'inurbamento terribile che gli organismi internazionali denunciano, pressoché inascoltati, da anni.
Città del Messico, una delle zone più sismiche del mondo, aveva un milione di abitanti nel 1930, 8 milioni nel 1970, 14 milioni nel 1980, più di 23 nel 1990 e oggi si avvicina ai 27 milioni.. La capitale del Messico copre da sola una superficie pari alla metà del Belgio. La grande agglomerazione di San Paolo, in Brasile, conta circa 26 milioni di abitanti, che ne fanno la seconda città del mondo.
Ma non è stato sempre così, anzi. Nel 1900 17 città su 20 tra le più popolose al mondo sorgevano all'interno delle regioni più sviluppate (Europa, Nord America e Giappone) e solo 3 erano quelle appartenenti alle aree "non sviluppate" del mondo (Istanbul, Calcutta, Pechino). Alla fine del XX secolo il rapporto fra "città del Sud" e "città del Nord" è invertito completamente. Solo Tokyo, New York e Los Angeles sono fra i 20 agglomerati urbani più popolati del pianeta. Gli altri 17 sorgono in paesi dell' Asia, dell'America Latina e dell'Africa. Sono quasi un miliardo e cinquecento milioni le persone che vivono oggi in città del Sud del mondo e il loro numero raddoppierà nei prossimi 20 anni. Il segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha spiegato qualche settimana fa che "povertà e pressione demografica aumentano i costi dei rischi naturali. Non è un caso se oltre il 90% delle vittime di disastri naturali, in tutto il pianeta, viva nei paesi in via di sviluppo".
Se andiamo a vedere la lista delle 40 peggiori catastrofi naturali in termini di vittime tra il 1970 ed il 2000, vi troveremo con pochissime eccezioni, soltanto paesi in via di sviluppo: dai 300mila morti per alluvioni e tempeste del 1970 in Pakistan, ai 3000 per cause analoghe nel Bangladesh nel 1988. Quando il terremoto ha colpito, nel 2001, l'Afghanistan, le vittime sono state 2000.
I poveri sono dunque le prime vittime della natura, anche se questa colpisce tutte le regioni del mondo. A volte sono vittime perché non possono farne a meno. Vi sono zone intensamente urbanizzate che si trovano, ad esempio, in prossimità dei vulcani perché la terra, lì, è più fertile. Solo che questo ha reso un numero crescente di popolazione a rischio di evacuazione quando i vulcani, come accade, si risvegliano. Nei soli anni 80, ad esempio, sono state evacuate a causa dei vulcani più persone di quante siano state evacuate nel corso degli ultimi due millenni: 93.000 nell'area di Galungung nel 1982, 83.000 nell'isola di Java nel 1984, 48.000 nell'area di Amak-Ranakad nel 1988. La globalizzazione, infine, sembra per ora spingere in una direzione opposta rispetto alla necessità di decongestionare le aree urbane più affollate. Sempre più persone sono costrette a urbanizzarsi se si abbassano i prezzi delle materie prime agricole. Così, a Città del Messico ogni giorno arrivano duemila persone in più.

Romeo Bassoli

Romeo Bassoli (1954-2013), giornalista, ha fondato la pagina scientifica de “l’Unità” e ne è stato responsabile per anni. Ha diretto l’ufficio comunicazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Oltre ai numerosi …