Paolo Rumiz: La festa di Trieste e Udine per "el ribalton"

10 Giugno 2003
Che liberazione per il popolo del centrosinistra, in piazza Unità, la piazza del Duce, di Almirante e di Fini. Una Trieste irriconoscibile, balneare, senza malinconie, che esplode, diventa Rio, carnevale, trombette, bandiere, frizzantini, abbracci, sudore, incredulità. Finisce una giornata pazzesca, indimenticabile, e un gruppo di ulivisti prende la rincorsa e fa un tuffo collettivo dal molo Audace in nome del nuovo Governatore. Fa un caldo boia, ma un ragazzo arriva con un cappotto di lana infeltrita, lo spalanca come due grandi ali e corre sudando come un matto per Piazza della Borsa.
È quella la parola giusta, cappotto. Dire "vittoria" non basta più. Basta il primo exit poll per capirlo, con Illy benedetto da una forbice che va dal 52,5 al 56,5 per cento dei consensi. Alessandra Guerra è lontana, ferma al 40-44. E i dati vanno per tutta la giornata in questa direzione (a poche sezioni dalla fine il candidato del centro-sinistra sarà attestato al 53,3 per cento): una festa. E così arrivano i balli, i cori, le pernacchie e i girotondi sotto il Municipio che la stessa città, due anni prima, aveva consegnato alla Destra proprio al termine della gestione Illy. Una rivincita. Un maledetto peso tolto dallo stomaco.
Nessuno si aspettava "el ribalton", cinguetta nella sera viola. Nessuno pensava che, con un effetto-traino spettacoloso, l´ex sindaco di Trieste potesse spingere la Sinistra a rovesciare a quel modo gli equilibri politici dell´Ultimo Nordest. E poi, quel tandem fenomenale col sindaco di Udine, il leghista dissidente Sergio Cecotti, che - dicono gli exit poll - dovrebbe sbancare alle Comunali della sua città. già al primo turno (dal 49 al 53% contro il 34-38% del rivale Franz).
"Pam pam!", scherza un vecchietto. Un doppio colpo secco, come quello di un cecchino. Un´impresa che solo un anno fa nessuno avrebbe ritenuto possibile, visti i sedici punti di vantaggio del Centro-destra sugli avversari. In quei sedici punti polverizzati, il senso di una vittoria non solo contro Berlusconi, ma anche contro gli "alieni" che volevano governare il voto da Roma. Un´onda lunga che parte e può cambiare gli equilibri nel Nord.
E sì che la vittoria era nell´aria. La sentivi nelle chiacchiere d´autobus, alle pompe di benzina, nei bar, per strada, ovunque. Non era più un borbottio, erano discorsi ad alta voce. Solo i sordi non la sentivano. O i "Visitors", spediti qui dal Governo a normalizzare la marca di frontiera. Era la "vox populi" che diceva: la candidata della Cdl, Alessandra Guerra, non va, è stata "imposta da Roma", dunque sta "antipatica". E poi, troppa aggressività nel centrodestra, troppa invadenza, troppa coreografia, troppe auto blu. Tutto, ormai da giorni, diceva che Illy avrebbe vinto. Illy, il "comunista" che mangia i bambini, Illy "l´ostaggio" di Rifondazione. Tranquillo, senza mai alzare i toni. Ma nessuno immaginava una cosa simile. Nemmeno Illy medesimo.
Che rabbia, dall´altra parte, per la sconfitta annunciata. L´onda arriva nel pomeriggio di fuoco, con le prime telefonate degli iscritti ad An alle Tv e ai giornali locali. Inferocite. Dicono: basta con la Lega. "Toglietecela dalle palleee!". Hanno voluto un loro candidato presidente e ci hanno "mandato a ramengo". Hanno perso loro e solo loro. An ha tenuto, Forza Italia pure, ma la Lega è crollata, il partito del candidato presidente. E poi gli azzurri. Tutti a dire: abbiamo "sbagliato cavallo", dovevamo "fottercene delle pressioni di Bossi", ripresentare il presidente Renzo Tondo, un galantuomo che piaceva a tutti. Con Berlusconi era tutto un signorsì, fino all´altroieri. Ora è tutto uno stracciarsi le vesti: dovevamo demonizzare di meno, gridare di meno "al lupo al lupo". Dovevamo, dovevamo, dovevamo.
Normalmente gli sconfitti tacciono. Qui no. Trieste è una città introversa di matti, la frontiera è un posto da matti. Così c´è una voglia matta di parlare, di dire a tutti - anche alla sinistra - che a destra c´è rumore di sciabole, che si vuole la resa dei conti, che si vuol mandare "in mona" Tremonti e il suo asse ministeriale con Bossi che ha spedito la Destra dritta dritta al suicidio elettorale. "Chi ha sbagliato pagherà - dice senza far nomi Paris Lippi di An, con un sorrisetto da squalo - e pagherà soprattutto chi ha pensato solo al suo tornaconto elettorale e non ha fatto un discorso di coalizione. Non tutto il male viene per nuocere". Erano giorni che molti, nella Cdl lo ripetevano: se si vince, bene. Se si perde, meglio. Tanta era stata la rabbia contro quella soluzione calata dall´alto che aveva fatto sentire persino Bossi come un emissario di Roma ladrona.
"Mai una coalizione ha fatto tanto per perdere", ti dice il popolo azzurro. Quelli dell´Udc soprattutto, da sempre i più perplessi dai toni avanguardistici dei capi. Ed è già l´anatomia di una sconfitta. La storia di un errore dopo l´altro. La liquidazione politica del presidente uscente, le liti a due mesi dal voto, l´aver forzato i dissenzienti a pubbliche abiure come nel Partito comunista cinese. E poi, l´aver cercato la rottura con la parte riformista della Lega, la scelta di demonizzare due ex sindaci - Illy e Cecotti - benvoluti per la loro efficienza, la ricerca dello scontro ideologico. E ancora, il mancato rispetto della specificità regionale, che ha consegnato il localismo della Piccola Patria alla sinistra. Infine, l´invio di quel commissario piemontese, Roberto Rosso, che ha creduto di capire e non ha capito. Bastava sentire, ieri, la sua lettura del voto. Diceva: numero uno, ha vinto il candidato manager. Numero due, per il governo esce rafforzato da queste elezioni. Numero tre, chi è il manager dell´Italia se non Berlusconi?
Ormai è notte, la festa non è ancora finita, arrivano giovani dalla periferia. I candidati vincenti vanno a far festa, di nuovo sotto il municipio del sindaco berlusconiano. Ed è anche l´anatomia di una vittoria che spiazza l´Italia dei talk show. Una storia che parte da lontano, alla chetichella, lontano da Roma, con un lavoro lungo, comune per comune, centrato sul fare, sulle cose, sui programmi. "Illy no xe un che disi monade", senti dire a Trieste e anche, con parole diverse, a Udine, fin su nella profonda Carnia. È il segno di una nomea di pragratismo e moderazione che ha bucato lo sbarramento politico-ideologico eretto da Berlusconi&c. e che alla fine ha convinto molti elettori del Polo. "La gente è stanca di messaggi finti e gridati, ormai preferisce un marketing politico discreto", si lascia, felice, Fabio De Visentini, che nell´ombra ha collaborato all´impresa.
Che Illy fosse comunista, insomma, non ci ha creduto nessuno.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …