Gabriele Romagnoli: Squadra speciale

12 Giugno 2003
Quando ho detto a un amico egiziano che di calcio non ne potevo più, mi ha guardato come un figlio di papà viziato, che si proclama stanco di feste in barca. Ho cercato di spiegargli che non c'era più niente da raccontare, in quel che a lui sembrava meraviglioso: un Mondiale da parrocchia, campioni bolliti, o insopportabili a vent'anni, Moggi tricolor, pettegolezzo e Roberto Baggio. Nient'altro. Ha detto: "Facciamo un patto: tu, stanco di calcio e di guerra, vai a guardar giocare la squadra di Al Omal, io mi vedo la Champions League sulla tua tv col satellite". Affare fatto.
Non lo sapevo, ma stavo scambiando Zidane e Ronaldo con Aya e Amal, che non sono due argentini ingaggiati all'estero, ma ragazzine di dodici e quattordici anni. Mi aveva mandato a vedere una squadra giovanile femminile del governatorato di Qena, Egitto meridionale. Quaranta gradi nella spianata africana e tutte in tuta. Palla sempre bassa, perché sui cross la centravanti non saltava per timore di perdere il velo e mostrare i capelli alla sparuta folla. Squadre femminili in Egitto ne esistono, ma questa le batte tutte, non esattamente in senso agonistico. Dalle loro parti è difficile vedere ragazze per strada, figurarsi su un campo di calcio.
L'idea è venuta a una donna "liberata", di nome Zeinab Ashour. Da ragazzina, ha raccontato a un mensile egiziano, avrebbe voluto fare sport, ma il padre si oppose: una femmina non può, disonora la famiglia, fine della discussione. Le procurò, invece, un bel matrimonio arrangiato, con un uomo a lei sconosciuto. Zeinab avrebbe voluto dedicarsi a un lavoro, allora, ma il marito si oppose: una femmina non può, di sonora la famiglia, fine della discussione. Il dio in cui crede dà e toglie. Le tolse prima il padre, poi il marito. Le diede la libertà. Zeinab rifiutò di rifugiarsi, vedova, nella casa della suocera. Cercò qualcosa che realizzasse tutti i suoi desideri mancati: un lavoro nello sport. Riuscì a farsi affidare la polisportiva femminile di Al Omal, dove si occupò di giovani ginnaste, pallavoliste, giocatrici di ping-pong. Mancava la squadra di calcio, decise di fondarla. Non era facile. Ragazze pronte a giocare ce n'erano, famiglie disposte a lasciarle fare, no. Tutte posero come condizione di sentire il parere dell'autorità religiosa: un locale sceicco.
Noi occidentali che viviamo in queste lande ci raccontiamo in serie paradossali barzellette in cui un musulmano va dall'imam a chiedere se questa o quella cosa sia lecita. Invariabilmente, il sacerdote si sdegna e grida: "Haram!", è peccato. "Haram!", gridò infatti lo sceicco alla prospettiva che le ragazzine sgambettassero dietro un pallone. Ma Zeinab non aveva aspettato due liberazioni per farsi fregare dal primo venuto. Condusse squadra e famiglie da una sceicca donna per un secondo consulto. Una mediazione si trova sempre. Nei giochi islamici femminili le atlete fanno la cerimonia inaugurale nascoste sotto abiti e veli (lo racconta Geraldine Brooks in Nine parts of desire) poi, in stadi vietati agli uomini, gareggiano in normali costumi sportivi. L'algerina Hassiba Boulmerka, medaglia d'oro nell'atletica a Barcellona, fu minacciata di morte per aver esposto il suo corpo e andò ad allenarsi all'estero. La sceicca proclamò: "Se giocherete coperte e non userete lo sport come pretesto per incontrare ragazzi, non è haram". Uno a zero. Dopodiché, hanno dovuto imparare a difendersi, perché il Consiglio dell'Educazione ha protestato, qualche genitore ci ha ripensato, gli uomini del villaggio si sono avvicinati troppo al campo, qualcuno ha mandato la polizia: Squadra Buoncostume. Ma la partita continua, benché Cairo-Al Omal sia finita 12 a 0.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …