Lorenzo Cremonesi: «Ma nell' ombra resta il potere (e il carisma) del vecchio leader Arafat»
28 Luglio 2003
"Inutile farsi illusioni. Yasser Arafat è stato e rimane l' unico
leader in grado di comandare i palestinesi. E Abu Mazen resta una figura
secondaria, priva di alcun seguito popolare". Non lascia possibilità di
appello il giudizio di Danny Rubinstein. Reporter di punta per il quotidiano
israeliano Haaretz in Cisgiordania e Gaza dai tempi della guerra del 1967,
autore di importanti libri sull' universo palestinese (il suo Il mistero di
Arafat è appena stato pubblicato in Italia dalla Utet), Rubinstein sin dalla
nomina di Abu Mazen a primo ministro dell' Autonomia nel marzo scorso va
ripetendo che comunque il carisma del vecchio raìs non può essere cancellato e
a lui resta il potere di legittimare o
meno le figure dei suoi collaboratori". Qual è la differenza maggiore tra
Abu Mazen e Arafat? "I due personaggi sono di levature assolutamente
diverse. Arafat è un uomo che ha dato anima e corpo alla causa palestinese. In
verità non ha alcuna vita privata, vive 24 ore su 24 per il suo lavoro, che in
effetti è per lui una missione totalizzante. Abu Mazen è invece un bravo
dirigente, che però ha una famiglia, una sua attività commerciale indipendente
a Doha, una vita privata distinta dal lavoro pubblico. Pochi anni fa, quando
morì suo figlio per un collasso cardiaco, avrebbe voluto abbandonare la vita
pubblica. Fu proprio Arafat a insistere perché restasse. In verità i due hanno
relazioni molto strette, sono quasi di famiglia, tanto che nel 1993 Abu Mazen
convinse personalmente il raìs a non portare la moglie Suha alla cerimonia
degli accordi di pace con il governo di Yitzhak Rabin a Washington perché non
la riteneva all' altezza del ruolo". Qual è la missione di Abu Mazen negli
Stati Uniti? "Assieme ad Arafat hanno concordato alcuni punti sui quali
insistere con Bush. Prima di tutto il rilascio dei prigionieri palestinesi da
parte di Israele, anche se appare una fatica di Sisifo, visto che proprio negli
ultimi giorni Ariel Sharon ha fatto arrestare qualche centinaio di persone per
usarle come merce di scambio nei prossimi negoziati. Poi si chiede che Israele
applichi davvero il ritiro dalle zone di Cisgiordania e Gaza, che erano state
rioccupate a partire dall' autunno Duemila. Inoltre si insiste sul congelamento
reale delle colonie ebraiche nei territori occupati, sul blocco della
costruzione del muro e delle barriere elettrizzate attorno alle aree
palestinesi, e sulla fine dell' assedio di Arafat confinato nel suo ufficio a
Ramallah". Crede sia realistica la speranza israeliana e americana di poter
esautorare Arafat e rimpiazzarlo con Abu Mazen? "Un progetto ridicolo. Abu
Mazen senza Arafat politicamente è un nulla. Anche se è vero che in questo
momento i due si sostengono a vicenda, necessitano l' uno dell' altro. Arafat ha
bisogno di Abu Mazen per poter trattare con gli americani, con Israele e una
parte della comunità internazionale. Il neo-primo ministro è la sua carta di
accesso a Washington. Ma Abu Mazen non ha alcun carisma, è stato ripetutamente
accusato dalle piazze palestinesi di essere un pupazzo agli ordini di
Washington, rischia addirittura di essere picchiato e offeso dalla folla come
del resto è avvenuto pochi giorni fa a Ramallah all' intellettuale moderato
Khalil Shikaki. La mancanza di qualsiasi seguito tra la sua gente gli impedisce
tra l' altro di negoziare in modo indipendente con i movimenti dell' estremismo
islamico come Hamas e Jihad". Abu Mazen è dunque solo un esecutore, un
portavoce, al meglio un ambasciatore? "Lo definirei un diplomatico
importante, un tecnocrate amante dell' ordine, un funzionario d' alto rango.
Anche se la storia del suo coinvolgimento nella causa palestinese parte da
lontano. Addirittura dal 1948, quando lui 13enne dovette fuggire con la famiglia
da Safed, in Galilea, e diventare profugo in Siria e Libano. Nel 1961 con Arafat
e alcune figure-guida della causa nazionale come Abu Jihad e Abu Yihad fa parte
del Fatah, (creato nel 1959) e tre anni dopo è tra i padri fondatori dell' Olp.
Ma già allora il suo era un impegno solo part-time, perché dedicava le sue
energie anche alle attività finanziarie e commerciali nel Qatar. A Doha ha
fatto fortuna, per un certo periodo fu anche consigliere del regime". Cosa
vorrebbe Abu Mazen? "Un' intifada bianca, ovvero una rivolta non violenta
contro l' occupazione. Assieme ad altri intellettuali si è reso conto che negli
ultimi tre anni di terrorismo e attentati la situazione palestinese è via via
peggiorata. Sharon resta più forte che mai e le colonie ebraiche continuano a
rubare terra araba. Abu Mazen vorrebbe tornare alla rivolta delle pietre che
caratterizzò le fasi iniziali della prima intifada nel 1987-88, ma da solo non
può andare da nessuna parte".
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …