Tullio Kezich: «Platoon», la sporca guerra di Oliver Stone
28 Luglio 2003
Mi racconta il produttore Fernando Ghia che nei primi anni ' 70 si vide
capitare nell' ufficio della Vides a Los Angeles un capellone male in arnese e
visibilmente impasticcato. Alle spalle il giovanotto aveva un' esperienza dura:
350 giorni in Vietnam come volontario; e tornando in patria, scosso e
disorientato, aveva scritto senza esito romanzi e sceneggiature. Sul versante
positivo, aveva frequentato alla scuola di cinema di New York le entusiasmanti
lezioni del professor Martin Scorsese; su quello negativo, era finito in galera
perché scoperto con la marijuana nella valigia alla frontiera del Messico.
"Al momento non ho nessun lavoro da offrirti - si scusò Ghia con il
giovane -, ma per te posso fare una cosa. Proiettarti un film prodotto in Italia
dalla nostra società, vicino a ciò che tu vorresti fare"; e gli
organizzò una visione di Salvatore Giuliano. Oliver Stone - questo era il nome
di quel reduce - ne rimase folgorato, vide e rivide il film di Francesco Rosi e
ne trasse l' ispirazione che in seguito l' avrebbe portato a fare in un certo
modo JFK. Poco dopo ottenne i primi successi come sceneggiatore e in tale veste
con Fuga di mezzanotte (1977), storia di un americano incarcerato per droga a
Istanbul, vinse addirittura l' Oscar. Sempre sull' onda dell' autobiografia,
Stone andò avanti a lungo a proporre un film sul Vietnam. Perché anche nei
momenti più confusi della sua esistenza era sempre rimasto convinto che si
dovesse proporre al pubblico americano un' immagine cinematografica della
"sporca guerra" la più lontana possibile dal famigerato Berretti
verdi di John Wayne. E quando nel gennaio 1986 Oliver arrivò nelle Filippine
per realizzare Platoon era già un regista con un paio di titoli all'
attivo. Aveva previsto di far precedere la lavorazione con un addestramento
militare di due settimane, che presentò ai suoi attori come una specie di gioco
della guerra; ma Charlie Sheen, Tom Berenger, Willem Dafoe e gli altri
scoprirono a proprie spese che non si trattava affatto di un gioco, ma della
replica spietata delle vessazioni subite dal regista sotto le armi. Per l'
autore, la storia della Bravo Company (25esimo Fanteria) nel Nam del 1967 doveva
rispecchiare un' educazione sentimentale: come Mowgli in Il libro della giungla
viene allevato dalle belve, Sheen è il soldatino pivello al quale aprono gli
occhi sulla realtà del conflitto due sergenti rivali: il cattivo Berenger e il
buono Dafoe. In tal modo il film, tutto imbastito sulla ricostruzione fedele di
quattro missioni di combattimento, diventa anche simbolico come una
rappresentazione medievale, con il diavolo e l' angelo che si contendono l'
anima del protagonista. Incerto sulla conclusione dello scontro, Stone arrivò a
girare due finali: nel primo Dafoe moriva, nel secondo no. Girato in 54 giorni
il film uscì in soli sei cinema nel dicembre 1986, ma il giorno dopo c' erano
già le file, i critici lo esaltavano e per questi nuovi "disastri della
guerra" Stone fu definito "un Goya della pellicola". Arrivato
come outsider nella gara degli Oscar, Platoon strappò a sorpresa otto
nomination e quattro statuette (film, regia, sonoro e montaggio). Ma ebbe
soprattutto il merito di riaprire la discussione sul senso della guerra del
Vietnam, un argomento accantonato da troppo tempo.
Tullio Kezich
Tullio Kezich (1928-2009), autore di numerosi volumi e commediografo largamente rappresentato, è stato critico cinematografico al “Corriere della Sera”. Con Feltrinelli ha pubblicato la biografia di Fellini, Federico, nel 2002 …