Gianfranco Bettin: I rapinatori delle acque minerali

30 Luglio 2003
In una bella intervista al manifesto, l'altro giorno Guido Pollice, presidente della sezione italiana di Green Cross, ha denunciato, per l'ennesima volta, il sistema di sprechi che sta dissipando il patrimonio idrico italiano. Se non bastassero parole come le sue, dovrebbe bastare il quadro ormai quotidiano che abbiamo sotto gli occhi e quello che proprio Pollice chiamandolo "shock padano" ha così riassunto: "abituati a sguazzare nell'acqua, a non conservare questo prezioso bene naturale, gli agricoltori si trovano improvvisamente di fronte alla chiusura dei rubinetti e alla rovina delle loro colture". Tra i responsabili di questa vera catastrofe ambientale c'è il business dell'acqua minerale. Come ricorda Pollice, "le imprese di questo settore hanno il privilegio di poter accedere alle fonti a prezzi irrisori. Da noi non c'è una cultura dell'acqua".
Una conferma di questo andazzo è osservabile in questi giorni, nel cuore del Nordest, regione che sarebbe l'Eden italiano dell'acqua - la chiara fresca dolce acqua petrarchesca... - se non fosse che anche qui, e forse qui più che altrove, lo spreco e l'inquinamento e l'uso rapinoso provocano appunto sempre più frequenti shock. Proprio ieri a Padernello di Paese, nella Marca trevigiana, si è svolta una manifestazione di ambientalisti e comitati popolari della zona contro la decisione della Giunta regionale del Veneto e della locale amministrazione comunale di autorizzare un nuovo grande impianto industriale di acqua minerale.
Piove sul bagnato: qual è il contrario di questa anacronistica metafora? Forse, proprio quello che si sta per fare a Paese. Estrarre l'acqua, per farne un business, da falde e sorgenti già provatissime, come la siccità di queste settimane dimostra, e come confermano i dissesti permanenti. Una decisione assunta senza valutazione di impatto ambientale, che autorizza il prelievo di 7 milioni di litri d'acqua al giorno dalle falde che alimentano il Sile, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza del Parco del Sile, la cui flora è vivificata proprio da quelle acque, oltre che del fiume stesso la cui portata è già condizionata dagli usi dei diversi Consorzi presenti lungo il suo corso.
Anche per questo motivo, protestano gli stessi pescatori, ieri in piazza insieme agli ambientalisti e ai cittadini, preoccupati questi ultimi anche dai processi di urbanizzazione e industrializzazione che il nuovo insediamento provocherà: "Con nuove strade e svincoli, con centinaia di camion al giorno, con 2 milioni e 700 mila metri cubi di cemento previsti su un'area di 170 mila metri quadri già ferita dalla presenza di cave ancora attive, diventerà una zona invivibile", sostiene Paride Danieli, dei Verdi di Treviso, tra i promotori della manifestazione: "Il tutto per una fabbrica, la San Benedetto, che non produrrà neanche veri benefici occupazionali, poiché nel nuovo stabilimento verranno trasferiti i dipendenti di altri impianti già esistenti, con l'aggiunta di qualche stagionale".
Tutto questo mentre appunto il territorio muore di sete, e si accinge a essere travolto, con le prime precipitazioni, dalle esondazioni, prodotte dal dissesto, e mentre in Regione e in tutto il Nordest infuria, tra le forze politiche e imprenditoriali, un isterico quanto inconcludente dibattito sulla necessità di bloccare la proliferazione dei capannoni.
Che non se ne possa più, lo capiscono ormai in tanti. Che non si abbia la lungimiranza di cambiare strada davvero lo si capisce anche da vicende come questa di Paese.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …