Suad Amiry: «Siamo tutti palestinesi. Ma con troppi passaporti»
23 Ottobre 2003
Stavo attraversando il ponte di Allenby con mio marito e altri colleghi del centro culturale Riwaq. Eravamo appena tornati da dieci magnifici giorni di relax al Cairo e a Sharm el-Sheik, lontani dall' inquieta Palestina. Mohammad (il coordinatore delle attività del Riwaq) avrà impiegato almeno un mese per radunare i documenti di viaggio, i permessi e i visti necessari ai dodici membri dello staff, alle loro mogli e ai figli, per un totale di venti persone. Eravamo un «gruppo nazionale omogeneo» (tutti palestinesi che vivono sotto occupazione), ma con status legali di almeno sette tipi diversi: palestinesi della Cisgiordania con passaporto palestinese palestinesi della Cisgiordania con passaporto diplomatico Vip palestinesi della Cisgiordania con passaporto giordano palestinesi di Gerusalemme (residenza israeliana ma non cittadinanza israeliana) con documenti di viaggio israeliani palestinesi di «Israele 1948» con passaporto israeliano palestinesi della Cisgiordania con passaporto canadese palestinesi della Striscia di Gaza con passaporto palestinese residenti in Cisgiordania. Ciascuno dei documenti aveva avuto bisogno di uno speciale tipo di accordo e di uno speciale tipo di autorizzazione, non soltanto fra Ramallah, Amman e il Cairo, ma anche fra Ramallah, il checkpoint di Qalandia, il checkpoint di Gerico, la Rest-House di Gerico (non so perché si chiami come un ospizio, visto che somiglia di più all' inferno) e il ponte di Allenby. Delle sette categorie di cui sopra, soltanto due potevano usare l' aeroporto di Tel Aviv, per cui non avevamo avuto altra scelta che quella di raggiungere il Cairo partendo dall' aeroporto di Amman. Per entrare in Giordania la maggior parte di noi, ma non tutti, aveva avuto bisogno di un' autorizzazione del ministero degli Interni giordano, anche se dal punto di vista tecnico eravamo passeggeri in transito. La maggior parte di noi, ma non tutti, aveva avuto bisogno di un visto turistico per il Cairo. La maggior parte di noi, ma non tutti, aveva avuto bisogno di un «Checkpoint Permit» dell' ufficio centrale israeliano di Beit Eil, vicino a Ramallah. Questo tipo di autorizzazione consente di attraversare alcuni dei trecentoventi checkpoint, non tutti, che dividono la Cisgiordania. Per entrare a Gerusalemme o a Gaza c' è invece bisogno di un permesso speciale, quasi impossibile da ottenere. La maggior parte di noi, ma non tutti, aveva avuto bisogno di prenotare con qualche mese di anticipo l' autobus che porta dalla Rest-House di Gerico alla Giordania, attraversando il fiume. Dieci minuti di macchina che richiedono quattro o cinque ore di attesa. La prenotazione è necessaria perché possono attraversare il ponte soltanto tre autobus al giorno (centoventi passeggeri), mentre in tempi normali (pre-intifada) attraversavano il ponte di Allenby dirette in Giordania fino a cinquemila persone al giorno. Alcuni di noi, ma non tutti, avevano aspettato tre ore all' aeroporto del Cairo prima di potere entrare nel Paese. Tutti noi, non solo qualcuno, eravamo stati molto bene al Cairo e a Sharm el-Sheikh. Ci era piaciuto poterci muovere liberamente e stare fuori fino a tardi la sera. Ci rendevamo conto di esserci totalmente dimenticati di che cos' è la vita normale. Arrivati al checkpoint di Qalandia siamo ricevuti da un cordiale benvenuto da parte dei soldati israeliani. Siccome il taxi che ci porta da Gerico non ha il permesso di attraversare il checkpoint, dobbiamo scendere dall' auto e sistemare il nostro enorme bagaglio su un karroseh, un carretto da ambulante. Mentre lo facciamo, sentiamo un sacco di spari. Sentiamo gli spari ma non vediamo i soldati. Un bel benvenuto, dico. All' improvviso vediamo un soldato israeliano che corre in mezzo a centinaia di palestinesi che in coda aspettano di entrare o uscire da Ramallah. Il soldato corre puntando la mitragliatrice in tutte le direzioni. I palestinesi si nascondono dietro qualsiasi cosa trovino. I più cauti si buttano a terra. Il soldato continua a sparare (per fortuna sempre per aria) finché apre la porta di un minibus fermo dall' altra parte della strada, afferra un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo trascina in un piccolo locale con barricate, installato appositamente per palestinesi «molesti». Noi, come il resto dei palestinesi lì attorno, ci dimentichiamo in fretta del ragazzino e torniamo alle nostre cose, contrattando con il ragazzo del carretto i quindici shekel (tre dollari) che ci ha chiesto. In meno di qualche ora gli effetti rilassanti dei dieci giorni in Egitto sono svaniti, a parte l' abbronzatura. E' bastato poco tempo, e la maggior parte di noi, ma non tutti, si è immersa nelle accese discussioni sui tre argomenti più dibattuti della settimana: il nuovo Plaza Mall vicino a casa nostra, le condizioni di salute di Arafat e il nuovo governo palestinese.
Traduzione di Monica Levy
Traduzione di Monica Levy
Suad Amiry
Suad Amiry (1951) è un’architetta palestinese, fondatrice e direttrice del Riwaq Center for Architectural Conservation a Ramallah. Cresciuta tra Amman, Damasco, Beirut e Il Cairo, ha studiato architettura all’American University …