Giulietto Chiesa: Bandiera rossa sulla Duma

13 Novembre 2003
Mosca - Saranno "nostalgici" quelli che hanno sfilato ieri a Mosca nell'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, ma erano tanti. Come al solito un balletto di cifre: chi dice 30, chi 50, chi sessantamila. Per un evento che non esiste più da dieci anni non è poco. A "quei tempi", si sa, la gente veniva portata fin nelle vicinanze della Piazza Rossa a bordo di autobus, ci veniva "intruppata", con qualche fringe benefit di contorno, un giorno di ferie in più (intanto non lavorava quasi nessuno), e un diploma di benemerenza, insieme ai palloncini colorati da regalare ai bambini. Ma adesso non è la stessa cosa per le manifestazioni ufficiali del governo ? Jurij Luzhkov pagava la giornata a migliaia di persone prima di metterle sugli autobus per portarle ad acclamare Boris Eltsin sulla spianata di San Basilio. Uguale uguale. E, alla fermata della metropolitana Novokuznetskaja, la vecchietta che distribuisce, il 7 novembre, il programma elettorale di Jabloko (alleato con la destra) non ha esitazione a rivelare che non è lì per l'idea ma perchè è stata pagata. E altrettanto riconosce lo studente che fa la stessa cosa nel sottopassaggio della Piazza Pushkin, solo che distribuisce un depliant dell'Unione delle Forze di Destra.
Chi ha i soldi paga. Soldi del banchiere Khodorkovskij, adesso in prigione. Ma quelli che sono andati in Piazza della Rivoluzione (la fermata del metro si chiama ancora così) l'hanno fatto gratis, diciamo per convinzione. Forse non sanno (se lo sapessero non ci crederebbero) che Khodoskovskij, prima di varcare la soglia di Lefortovo, ha sganciato anche qualche decina di milioni di dollari al partito comunista di Ghennadij Ziuganov. Vallo a spiegare, ai nostalgici dell'Ottobre, che la politica russa è diventata un acquitrino lungo sette fusi orari.
Ma l'entusiasmo era tanto. Un corteo immenso, pieno di rossi, colorati di rosso, sotto un sole già gelato, ma brillante come a Mosca accade solo il 7 novembre. Sole obliquo che ti arriva dentro gli occhi passando subdolo sotto le palpebre. Le Tv, tutte di stato, non fanno vedere quasi niente. Quel poco che trapela è grondante di disprezzo per questi nostalgici che non hanno ancora capito come gira il mondo. Più o meno come farebbe il telegiornale di Mimun, se gli capitasse, per sbaglio, di dare qualche notizia.
C'è perfino qualche scritta contro Berlusconi, la cui fama di amico del nemico di questi nostalgici sta valicando insieme il Reno e il Manzanarre, ed è ormai stabilmente acquartierata sulla Moscova. Vladimir Putin è a Roma, a mietere molte pianticelle di fiele europeo e un po' di miele americano-berlusconiano, ma sulla piazza Pushkin, alla vigilia, sparuti gruppetti dei residuati democratici, con i loro cartelli sconsolati, protestavano contro la guerra cecena che Silvio il compagnone ha condonato d'un tratto, con una pacca sulla spalla, all'amico Vladimir.
La sera prima un gruppetto di uomini mascherati sfondava le porte della "Fondazione per una Società aperta" di Soros e sequestrava tutto. In nome della legge, perché erano in divisa. E così si comincia a capire che anche i banchieri filantropi americano-ungheresi dovranno d'ora in poi trattare con il presidente Putin, esattamente come gli oligarchi americano-russo-israeliani. Brutti tempi quando non sai nemmeno se c'è una parte dalla quale, eventualmente, mettersi per evitare di essere preso in mezzo dal fuoco incrociato. Storia dove non ci sono i buoni e vincono quindi soltanto i cattivi.
La piazza è splendida con tutti i suoi colori. Il corteo passa sotto la Duma, tutti con gli occhi in alto, a guardare il colpo di mano di un giovanotto audace che fa sventolare una enorme bandiera rossa, con la falce e martello gialla ben visibile, proprio sul tetto del parlamento russo. A fianco di quel rosso, il tricolore orizzontale eltsiniano-zarista fa una figura mediocre, slavata. Di sotto scatta un'ovazione prolungata, applausi, risa di scherno, finché arriva la polizia a disarmare il temerario. Un anziano signore, distinto nel suo vestito sovietico, sentenzia: "come la nostra bandiera sventolò sul Reichstag". Ma l'altra sera un amico che conosce gli amici del Kgb, ora Fsb, mi raccontava che un colonnello istruttore dei Servizi di sicurezza, ha fatto un esperimento e ha chiesto ai suoi studenti allievi di decifrare la sigla Ssr (unione delle repubbliche sovietiche). "Ebbene, non ci crederai - mi ha detto - ma nessuno dei trenta ragazzi di diciotto anni sapeva cosa voleva dire l'acrostico".
E il colonnello cos'ha fatto?, ho chiesto. "Li ha bocciati tutti". Ma non è colpa loro se non conoscono la storia del loro paese. Forse che gli studenti italiani la conoscono?
Diranno che questi nostalgici erano solo vecchi. Ma io ho visto molti giovani, anche alla moda. Molte ragazze con il pancino scoperto a sfidare impunemente il gelo in omaggio a Cosmopolitan in lingua russa. Diranno che non sono venuti per ricordare l'Ottobre, ma perché c'era la "narodnoe gulianie", la passeggiata popolare, come ai tempi dei tempi.
Tant'è la festa - che non ha più nome, né significato - non è stata abolita. Il corteo si spegne tra rimasugli di comizi iracondi, di invettive, di venditori di giornali e riviste con i ritratti di Marx e di Lenin. E si fonde con la passeggiata del popolo, che viene dalle periferie lontane per vedere le vetrine dove sono esposte merci che nessuno di quelli che passeggiano potrà comprare. Infatti non sono per loro.
Si cammina in allegria sotto l'immenso lenzuolo che copre la facciata del moribondo Hotel Moskva, con la scritta di Vladimir Putin grande come cinque piani del palazzo: "Dobbiamo fare insieme una Russia forte e unita". I deputati che escono dalla Duma se la trovano davanti ogni giorno, come un avvertimento minaccioso. Mi verrebbe da dire che se lo meritano.

Giulietto Chiesa

Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …