Carlo Maria Martini: Contro l' antisemitismo, conoscenza, rispetto e gesti concreti

20 Novembre 2003
La recrudescenza del terrorismo internazionale manifestatasi in Medio Oriente, che ha stroncato nei giorni scorsi molte giovani vite di militari italiani in missione di pace e proprio ieri ha preso di mira due sinagoghe a Istanbul, ci spinge a collocare il fenomeno in quell' ambito più vasto che è il crescere delle antipatie e degli odi tra popoli e culture. Tra questi sentimenti negativi occupa un posto di particolare rilievo e gravità il fenomeno dell' antisemitismo. È perciò opportuno chiedersi: l' antisemitismo sta diffondendosi in modo significativo? In questi tempi, e non solo a livello nazionale, dolorosi episodi di antisemitismo sono ricomparsi fino al gravissimo attentato in Turchia e alcuni sondaggi hanno riaperto il dibattito su un fenomeno che in realtà non si era mai spento. Tutto questo nel quadro del moltiplicarsi di segnali preoccupanti: analoghi atteggiamenti di pregiudizio antireligioso o razziale riaccendono polemiche che hanno coinvolto musulmani, cristiani, laici, pro o contro simboli di fede e di tradizioni diverse. Sembrerebbe quasi che, sotto il velo del processo di crescente integrazione europea, si nasconda una cenere calda di fondamentalismi e particolarismi, pronti a esplodere in miscele pericolose di odi antichi e tensioni attuali. Eppure non sono mancati interventi di uomini di cultura, di autorità civili e religiose, di esperti di diritto e di politici, che hanno tentato di offrire un contributo alla maturazione di una civiltà dove il pluralismo dei diversi si accordi in una operosa sinfonia costruttrice di pace nella giustizia. Occorre d' altra parte riconoscere che le paure e le ombre sollevate dal terrorismo, locale e internazionale, con i suoi ignobili e vili attentati e da interventi discutibili di «guerre preventive» o di rappresaglie, possono purtroppo accrescere le tensioni e sono, talora, sintomi di più profonde incomprensioni, ingiustizie e mancanza di fiducia. È vero che vanno fatte le dovute distinzioni e che ad esempio le critiche rivolte all' attuale governo di Israele e al suo modo concreto di gestire la drammatica emergenza del terrorismo non significano ancora né sentimenti antisemiti e neppure «antisionisti». Ma non si può negare che in tutto ciò giochino anche ignoranze e antipatie che non aiutano la mutua comprensione e offuscano e complicano problemi già così ardui, invece di collaborare a una soluzione quale, ad esempio, si propone la cosiddetta «road map» per la questione israeliana e palestinese. Nell' ambito poi delle Chiese cristiane sentimenti di antipatia e di diffidenza o di estraneità verso il popolo ebraico contrastano con tutto ciò che, soprattutto a partire dal Vaticano II, è stato sempre pubblicamente proclamato e anche vissuto in tante circostanze pubbliche e solenni. «Non possiamo invocare Dio Padre di tutti - afferma il Concilio Vaticano II nella conclusione del documento Nostra Aetate - se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni degli uomini che sono creati a immagine di Dio (...) Di conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Dio, qualsiasi discriminazione tra gli uomini (...) perpetrata per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione» (n. 5). Il Concilio inoltre sottolinea «il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo» e «vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima» (n. 4). Mi pare che qui stia un punto nodale di tutta questa tematica. Come ho avuto modo di affermare in tante occasioni, non è sufficiente condannare ogni forma di antisemitismo, ma occorre promuovere una conoscenza fatta di rispetto, amore e simpatia per la storia, la spiritualità, la cultura, le vicende anche attuali del popolo ebraico e quindi anche la situazione e le condizioni in cui vive oggi lo Stato di Israele. Quanto si è detto in questi ultimi giorni sulle opinioni degli italiani mostra invece una superficialità e una disinformazione, anche della storia recente, che non giova a nessuno, neppure alla causa palestinese, anch' essa meritevole di grandissima attenzione, comprensione e rispetto. Di fronte alla questione dell' antisemitismo - ma ciò vale in genere anche per analoghi movimenti di intolleranza - non mi pare saggio chiudere gli occhi o limitarsi a cercare rimedi superficiali, sia perché si tratta di un movimento che può collegarsi tragicamente con altre derive totalitarie e disumane, sia perché l' antisemitismo affonda le sue radici nella storia millenaria dell' Europa. Ciò mostra che il solo ricordo, quando non è adeguatamente coltivato mediante la formazione, l' informazione e l' educazione, non è sufficiente. Occorre che sia congiunto a un' azione permanente, sia per documentare, sia per interiorizzare le informazioni ricevute, vagliate e criticamente assunte. Statistiche e sondaggi di questi giorni, infatti, dimostrano anch' essi come la disinformazione, la generalizzazione circa il conflitto israelo-palestinese, le sue cause e i suoi sviluppi sono di ostacolo a una valutazione serena e obiettiva dei fatti e, quindi, spingono a condanne ingenerose e globali. Chi ama davvero la pace non deve porsi a rimorchio di giudizi di parte né di affermazioni affrettate e incomplete, ma aiutare a superare le cause del conflitto rendendosi conto fino in fondo dei valori in gioco, che riguardano la sopravvivenza e la libertà dei cittadini di entrambi i popoli e i mezzi più opportuni e urgenti per assicurare questi valori, nel rispetto della dignità di tutte le parti in causa. Allora anche la critica sulle scelte degli uomini politici si farà costruttiva e gli sforzi dei Paesi democratici per sostenere un difficile cammino verso la pace mostreranno un interesse sincero e saranno di stimolo efficace per affrontare da ambo le parti quei sacrifici e quelle rinunce che sono urgenti precondizioni per un cammino di mutua intesa. Dopo la Shoà e la rinascita di uno Stato ebraico in Israele, la Chiesa si è sempre più resa conto che è doveroso coltivare il dialogo e la collaborazione con il popolo ebraico, che è e rimane tuttora prediletto da Dio. Questo dialogo «implica, tra l' altro, che si faccia memoria della parte che i figli della Chiesa hanno potuto avere nella nascita e nella diffusione di un atteggiamento antisemita nella storia e di ciò si chieda perdono a Dio, favorendo in ogni modo incontri di riconciliazione e di amicizia con i figli di Israele» (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 56). Tutto ciò si farà più con i gesti concreti che con le inchieste di opinione. L' ultimo capitolo del libro biblico che narra la storia del re Davide (2 Samuele 24) ci mostra che la preoccupazione di questo re di conoscere il numero esatto dei popoli a lui soggetti si rivelò di fatto come controproducente. È possibile che anche oggi la mera preoccupazione di conoscere in maniera precisa le mutevoli opinioni della gente e le loro percentuali conduca a risultati poco apprezzabili. Molto di più invece va fatto per una informazione precisa e rigorosa e per una formazione al giudizio positivo e benevolo su situazioni tanto intricate e sofferte, senza indulgere, come già notavo in un articolo di qualche mese fa su questo giornale, a soluzioni ideologiche che sarebbero una riedizione di antiche idolatrie del potere, della forza e persino della violenza cieca. È per questo superamento di rigide posizioni antitetiche che la voce di Papa Giovanni Paolo II si è elevata continuamente in questi anni e continua a elevarsi anche nella sua debolezza fisica, facendosi eco di quella voce che nei primordi dell' umanità gridava dal sangue di Abele ucciso dall' odio del suo fratello (cfr. Genesi 4,10-11 e Lettera agli Ebrei 11,4).

Carlo Maria Martini

Carlo Maria Martini (Torino, 1927 - Gallarate, 2012), cardinale dal 1983, è stato arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Gesuita e biblista di fama internazionale, tra il 1964 e …