Suad Amiry e Batya Gur: Le nostre vite vissute come dentro un recinto
20 Novembre 2003
Domenica, 26 ottobre
Batya: "Alle 4 del mattino mi sveglia la voce del muezzin. Notiziario delle 7: due soldatesse e un soldato sono stati uccisi a Netzarim, nei pressi di Gaza. Più tardi, sul giornale, osservo la foto delle due giovani. Hanno 19 anni, l´età della mia figlia minore. Metto via il giornale.
"Alle 8 mi impegno in un articolo di commento al romanzo Aracoeli di Elsa Morante, destinato al supplemento letterario di Haaretz. Sento passare delle ambulanze in strada. Le conto. No, non sono tre. Tre ambulanze vogliono dire attentato. Qualche mese fa un terrorista è stato arrestato davanti al caffè Cafit, qui vicino, e qualche settimana prima un altro si era fatto saltare in aria al caffè Hillel, a nemmeno cento metri da qui. La sera andiamo a trovare la nipote di Ariel: abita con suo marito a Bakaa, un quartiere qui vicino. I loro tre bambini si addormentano al suono degli spari. Provengono da Betlemme o sono fuochi d´artificio? I pareri sono contrari. Da un appartamento vicino ci arriva l´eco del telegiornale: sullo sfondo si sente la folla minacciare lo sciopero generale. Sento la voce del primo Ministro Sharon, una voce che mi è diventata insopportabile dopo la guerra del Libano del 1982".
Suad: ""Nura... vuoi uscire a farti una passeggiatina?". Si precipita verso la porta. Con gli occhi socchiusi mi trascino per aprirle e lei esce a razzo in giardino. Mentre preparo due scodelle di tè al latte, sento un colpo di fuoco provenire dal posto di controllo di Surda, a meno di un chilometro di distanza. Mi rificco a letto. Salim, con gli occhi chiusi, ascolta il notiziario. "No, questa stronzata di muro non ha niente a che vedere con la sicurezza di Israele. Basta guardarlo! Non separa Israele dalla Palestina. Separa la Palestina dai palestinesi. Con il pretesto di stabilire una linea di confine tra noi e loro, si sono impadroniti del 55 per cento delle nostre terre. Sarebbe questa la sicurezza?" Mi sono stupita di aver risposto così, gridando, a Bob Simon che mi stava intervistando per il programma della CBS 60 minutes sulle ripercussioni che il muro ha sulle nostre vite. Credo che Bob Simon si sia pentito di aver scelto una donna come me, di mezza età e in menopausa, per parlare della "separazione"".
Lunedì, 27 ottobre
Suad: ""Nura... una passeggiatina"? Si precipita verso la porta. Le apro con gli occhi aperti a metà. Esce a razzo in giardino, io mi porto appresso le mie enormi scodelle di tè al latte. Sento un elicottero israeliano ronzare nel cielo di Ramallah. Salim ascolta il notiziario: "Il governo americano critica la costruzione da parte di Israele del muro di sicurezza all´interno dei territori palestinesi, muro che blocca l´accesso dei palestinesi alle loro terre". Ancora prima di andare in onda, la mia intervista con Bob Simon ha già influenzato il governo americano".
Batya: "Il tempo è cambiato. Dopo una settimana di canicola, ora si respira. L´autunno è arrivato, portando con sé il profumo di guaiava e di clementine. Faccio fatica a concentrarmi sul mio nuovo libro, la cui uscita è imminente. Invece di lavorare, mi immergo nella lettura de La porta del sogno, del finlandese Uno Kailas. Nella prefazione Rami Saari parla del conforto che quelle poesie gli hanno trasmesso. La mia unica consolazione, invece, è che questa sera pioverà. Pioverà anche a Ramallah, dove abita Suad Amin Tamari, con la quale non riesco a mettermi in contatto.
Martedì, 28 ottobre
Batya: "Il freddo di questa mattina preannuncia l´inverno. L´autista del taxi che mi conduce all´ospedale Hadassah, a Ein Karem, è un arabo di Gerusalemme est. Sono le nove. Ascolto il notiziario dalla sua autoradio, e mi calo nei suoi panni. Ha un´aria impenetrabile. Non scambiamo parola. L´ascensore dell´ospedale è gremito di gente. Un uomo con la kippà e lo sguardo intelligente sta cercando chirurgia plastica. Con l´orecchio premuto al cellulare, continua a ripetere, con voce entusiasta. "Credimi, Micha, il nostro è un paese meraviglioso, non dimenticarlo mai". Lo guardo, sono sconcertata, ma non infastidita. Le sue parole mi riecheggiano in testa tutto il giorno.
"Nel pomeriggio viene a trovarmi una giornalista del Tag Zeitung. Mi chiede se sarei capace di vivere altrove. Alla sola idea mi sento fremere e le rispondo: "In nessun caso!" Sorpresa, lei insiste. Ribatto dicendole che non vi è al mondo un luogo più sicuro di questo e che non ho paura per me, ma per i miei figli e i miei cari. Non sono capace di spiegarle perché non potrei vivere altrove. Non è una questione di patria, ma di vincoli sentimentali con la gente, la lingua, gli odori. E´ così".
Suad: "Cercavo disperatamente di dissimulare la mia angoscia e la mia paura mentre accompagnavo Leila fino alla cittadina di Kalkilya. Lei voleva valutare quali fossero le terribili conseguenze del "muro di separazione". Il solo modo di arrivare a Kalkilya, a quanto pare, è quello di attraversare Israele "illegalmente". Ed è anche l´unico modo per sfidare il "muro di sicurezza" di Sharon! E´ grazie alla mia età che abbiamo potuto passare il posto di controllo di Kalandia; è grazie all´eleganza di Leila che abbiamo potuto penetrare in Israele; è grazie alla perplessità dei soldati alla vista del suo passaporto libanese e del mio passaporto giordano che abbiamo potuto valicare la porta che costituisce il solo punto d´ingresso e di uscita per i 45.000 abitanti di Kalkilya.
"Ci hanno fatto costeggiare il gigantesco muro che circoscrive completamente Kalkilya. Così abbiamo potuto constatare che il 45 per cento dei terreni e 19 dei pozzi d´acqua sono ormai irraggiungibili, ovvero "dall´altra parte del muro". Per raggiungere i loro campi, i contadini devono passare attraverso quell´unico punto di accesso. Anche se siamo già alla fine di ottobre, gli abitanti del villaggio non sono ancora stati autorizzati ad effettuare la raccolta delle olive".
Mercoledì, 29 ottobre
Suad: ""Sì, ci piacerebbe proprio poter visitare lo zoo". Anche Leila era entusiasta come me. Certo, sapevamo che Kalkilya è da molti punti di vista una città pilota (il sindaco arabo di Kalkilya e il sindaco del partito Meretz della vicina città di Kfar-Saba hanno firmato un gemellaggio tra le loro municipalità; gli israeliani progressisti di Kfar-Saba hanno inviato al governo Sharon una petizione, chiedendo che il muro sia eretto in territorio ebraico), ma uno zoo è davvero un progetto pilota. Su una pedana di cemento, in una minuscola gabbia di filo spinato, l´indomita leonessa che ha appena perso suo marito è accucciata accanto al suo splendido rampollo Zarf. Mi guarda dritta negli occhi e mi dice: "Ora capisci che cosa vuol dire vivere in gabbia, isolata, tagliata fuori dal tuo habitat naturale?" "Sì, capisco. Ne sono davvero dispiaciuta, ti devo delle scuse." "Non occorre. Sono gli israeliani che ci devono delle scuse. A voi e a me," conclude la leonessa. Noi ci abbracciamo piangendo".
Batya: "Parto con Ariel. Siamo diretti a Tel-Aviv, per far visita a mia madre come ogni settimana. Ottantenne, sopravvissuta alla Shoah, mia madre vive da sola. La sera, al bar, incontro la mia amica d´infanzia Tami. Mi indica Marte in cielo. "Non è strabiliante? - mi chiede Tami - Quella è la stella della guerra." Sorridiamo, cercando di non formulare la domanda "Che cosa succederà?" che ci sgorga rovente sulle labbra. Sorseggiamo una margarita, guardiamo fuori. Sono nata a Tel-Aviv, ma preferisco Gerusalemme, con tutta la sua violenza e le sue difficoltà. Non so perché".
Giovedì, 30 ottobre
Batya: "Dopo la lezione di ginnastica finalmente mi arriva una telefonata di Suad! Conversazione piacevole: abbiamo le stesse opinioni sull´impotenza della sinistra, i tormenti della scrittura, le meraviglie dell´Italia... Mi racconta il trauma che ha subito al check-point di Kalandia. Alla fine entrambe conveniamo che nelle circostanze attuali è preferibile rifugiarsi nella cultura e, per esempio, andare a vedere L´incarico, tratto da un romanzo di Philip Roth. Anche se è un mattone".
Suad: "Sebbene abbia delle forti fitte allo stomaco, ho portato Noura a fare la sua passeggiata. Non ho preso nemmeno il tè, ho passato tutta la giornata a letto. Indisposta".
Venerdì, 31 ottobre
Batya: "Dal notiziario delle 7 vengo a sapere che il monumento funebre di Itzhak Rabin è stato profanato. Questi ebrei fanatici che ammassano armi e corrono a destra e a sinistra con uno sguardo da esaltati hanno lo stesso sorriso dell´assassino di Rabin.
"Il centro commerciale nella parte sud di Gerusalemme brulica di folla, questo venerdì mattina. Mi perquisiscono tre volte. Tutti hanno un´aria angosciata e sconvolta. Ciò nonostante a Gerusalemme il sole brilla in questa bella mattinata d´autunno e dal fioraio si trovano già gli anemoni".
Suad: "Non saprei dire che cosa esattamente abbia provocato i forti dolori che ho avvertito tutta la giornata di venerdì, se è stato l´aver visto quel gran muro di cemento, o Abou Mohammad che piantava degli olivi a ridosso del muro, o la tristezza funerea dello sguardo della leonessa... Con l´animo turbato e il corpo spossato ho fatto la spola tra il letto e il computer, per rendervi partecipi del mio diario della settimana appena trascorsa. E´ evidente che gli elicotteri israeliani che hanno ronzato nel cielo di Ramallah per ore e ore non mi hanno affatto facilitato il lavoro, né hanno lenito la morsa che sento allo stomaco".
Traduzione di Anna Bissanti (c) Nouvel Observateur
Batya: "Alle 4 del mattino mi sveglia la voce del muezzin. Notiziario delle 7: due soldatesse e un soldato sono stati uccisi a Netzarim, nei pressi di Gaza. Più tardi, sul giornale, osservo la foto delle due giovani. Hanno 19 anni, l´età della mia figlia minore. Metto via il giornale.
"Alle 8 mi impegno in un articolo di commento al romanzo Aracoeli di Elsa Morante, destinato al supplemento letterario di Haaretz. Sento passare delle ambulanze in strada. Le conto. No, non sono tre. Tre ambulanze vogliono dire attentato. Qualche mese fa un terrorista è stato arrestato davanti al caffè Cafit, qui vicino, e qualche settimana prima un altro si era fatto saltare in aria al caffè Hillel, a nemmeno cento metri da qui. La sera andiamo a trovare la nipote di Ariel: abita con suo marito a Bakaa, un quartiere qui vicino. I loro tre bambini si addormentano al suono degli spari. Provengono da Betlemme o sono fuochi d´artificio? I pareri sono contrari. Da un appartamento vicino ci arriva l´eco del telegiornale: sullo sfondo si sente la folla minacciare lo sciopero generale. Sento la voce del primo Ministro Sharon, una voce che mi è diventata insopportabile dopo la guerra del Libano del 1982".
Suad: ""Nura... vuoi uscire a farti una passeggiatina?". Si precipita verso la porta. Con gli occhi socchiusi mi trascino per aprirle e lei esce a razzo in giardino. Mentre preparo due scodelle di tè al latte, sento un colpo di fuoco provenire dal posto di controllo di Surda, a meno di un chilometro di distanza. Mi rificco a letto. Salim, con gli occhi chiusi, ascolta il notiziario. "No, questa stronzata di muro non ha niente a che vedere con la sicurezza di Israele. Basta guardarlo! Non separa Israele dalla Palestina. Separa la Palestina dai palestinesi. Con il pretesto di stabilire una linea di confine tra noi e loro, si sono impadroniti del 55 per cento delle nostre terre. Sarebbe questa la sicurezza?" Mi sono stupita di aver risposto così, gridando, a Bob Simon che mi stava intervistando per il programma della CBS 60 minutes sulle ripercussioni che il muro ha sulle nostre vite. Credo che Bob Simon si sia pentito di aver scelto una donna come me, di mezza età e in menopausa, per parlare della "separazione"".
Lunedì, 27 ottobre
Suad: ""Nura... una passeggiatina"? Si precipita verso la porta. Le apro con gli occhi aperti a metà. Esce a razzo in giardino, io mi porto appresso le mie enormi scodelle di tè al latte. Sento un elicottero israeliano ronzare nel cielo di Ramallah. Salim ascolta il notiziario: "Il governo americano critica la costruzione da parte di Israele del muro di sicurezza all´interno dei territori palestinesi, muro che blocca l´accesso dei palestinesi alle loro terre". Ancora prima di andare in onda, la mia intervista con Bob Simon ha già influenzato il governo americano".
Batya: "Il tempo è cambiato. Dopo una settimana di canicola, ora si respira. L´autunno è arrivato, portando con sé il profumo di guaiava e di clementine. Faccio fatica a concentrarmi sul mio nuovo libro, la cui uscita è imminente. Invece di lavorare, mi immergo nella lettura de La porta del sogno, del finlandese Uno Kailas. Nella prefazione Rami Saari parla del conforto che quelle poesie gli hanno trasmesso. La mia unica consolazione, invece, è che questa sera pioverà. Pioverà anche a Ramallah, dove abita Suad Amin Tamari, con la quale non riesco a mettermi in contatto.
Martedì, 28 ottobre
Batya: "Il freddo di questa mattina preannuncia l´inverno. L´autista del taxi che mi conduce all´ospedale Hadassah, a Ein Karem, è un arabo di Gerusalemme est. Sono le nove. Ascolto il notiziario dalla sua autoradio, e mi calo nei suoi panni. Ha un´aria impenetrabile. Non scambiamo parola. L´ascensore dell´ospedale è gremito di gente. Un uomo con la kippà e lo sguardo intelligente sta cercando chirurgia plastica. Con l´orecchio premuto al cellulare, continua a ripetere, con voce entusiasta. "Credimi, Micha, il nostro è un paese meraviglioso, non dimenticarlo mai". Lo guardo, sono sconcertata, ma non infastidita. Le sue parole mi riecheggiano in testa tutto il giorno.
"Nel pomeriggio viene a trovarmi una giornalista del Tag Zeitung. Mi chiede se sarei capace di vivere altrove. Alla sola idea mi sento fremere e le rispondo: "In nessun caso!" Sorpresa, lei insiste. Ribatto dicendole che non vi è al mondo un luogo più sicuro di questo e che non ho paura per me, ma per i miei figli e i miei cari. Non sono capace di spiegarle perché non potrei vivere altrove. Non è una questione di patria, ma di vincoli sentimentali con la gente, la lingua, gli odori. E´ così".
Suad: "Cercavo disperatamente di dissimulare la mia angoscia e la mia paura mentre accompagnavo Leila fino alla cittadina di Kalkilya. Lei voleva valutare quali fossero le terribili conseguenze del "muro di separazione". Il solo modo di arrivare a Kalkilya, a quanto pare, è quello di attraversare Israele "illegalmente". Ed è anche l´unico modo per sfidare il "muro di sicurezza" di Sharon! E´ grazie alla mia età che abbiamo potuto passare il posto di controllo di Kalandia; è grazie all´eleganza di Leila che abbiamo potuto penetrare in Israele; è grazie alla perplessità dei soldati alla vista del suo passaporto libanese e del mio passaporto giordano che abbiamo potuto valicare la porta che costituisce il solo punto d´ingresso e di uscita per i 45.000 abitanti di Kalkilya.
"Ci hanno fatto costeggiare il gigantesco muro che circoscrive completamente Kalkilya. Così abbiamo potuto constatare che il 45 per cento dei terreni e 19 dei pozzi d´acqua sono ormai irraggiungibili, ovvero "dall´altra parte del muro". Per raggiungere i loro campi, i contadini devono passare attraverso quell´unico punto di accesso. Anche se siamo già alla fine di ottobre, gli abitanti del villaggio non sono ancora stati autorizzati ad effettuare la raccolta delle olive".
Mercoledì, 29 ottobre
Suad: ""Sì, ci piacerebbe proprio poter visitare lo zoo". Anche Leila era entusiasta come me. Certo, sapevamo che Kalkilya è da molti punti di vista una città pilota (il sindaco arabo di Kalkilya e il sindaco del partito Meretz della vicina città di Kfar-Saba hanno firmato un gemellaggio tra le loro municipalità; gli israeliani progressisti di Kfar-Saba hanno inviato al governo Sharon una petizione, chiedendo che il muro sia eretto in territorio ebraico), ma uno zoo è davvero un progetto pilota. Su una pedana di cemento, in una minuscola gabbia di filo spinato, l´indomita leonessa che ha appena perso suo marito è accucciata accanto al suo splendido rampollo Zarf. Mi guarda dritta negli occhi e mi dice: "Ora capisci che cosa vuol dire vivere in gabbia, isolata, tagliata fuori dal tuo habitat naturale?" "Sì, capisco. Ne sono davvero dispiaciuta, ti devo delle scuse." "Non occorre. Sono gli israeliani che ci devono delle scuse. A voi e a me," conclude la leonessa. Noi ci abbracciamo piangendo".
Batya: "Parto con Ariel. Siamo diretti a Tel-Aviv, per far visita a mia madre come ogni settimana. Ottantenne, sopravvissuta alla Shoah, mia madre vive da sola. La sera, al bar, incontro la mia amica d´infanzia Tami. Mi indica Marte in cielo. "Non è strabiliante? - mi chiede Tami - Quella è la stella della guerra." Sorridiamo, cercando di non formulare la domanda "Che cosa succederà?" che ci sgorga rovente sulle labbra. Sorseggiamo una margarita, guardiamo fuori. Sono nata a Tel-Aviv, ma preferisco Gerusalemme, con tutta la sua violenza e le sue difficoltà. Non so perché".
Giovedì, 30 ottobre
Batya: "Dopo la lezione di ginnastica finalmente mi arriva una telefonata di Suad! Conversazione piacevole: abbiamo le stesse opinioni sull´impotenza della sinistra, i tormenti della scrittura, le meraviglie dell´Italia... Mi racconta il trauma che ha subito al check-point di Kalandia. Alla fine entrambe conveniamo che nelle circostanze attuali è preferibile rifugiarsi nella cultura e, per esempio, andare a vedere L´incarico, tratto da un romanzo di Philip Roth. Anche se è un mattone".
Suad: "Sebbene abbia delle forti fitte allo stomaco, ho portato Noura a fare la sua passeggiata. Non ho preso nemmeno il tè, ho passato tutta la giornata a letto. Indisposta".
Venerdì, 31 ottobre
Batya: "Dal notiziario delle 7 vengo a sapere che il monumento funebre di Itzhak Rabin è stato profanato. Questi ebrei fanatici che ammassano armi e corrono a destra e a sinistra con uno sguardo da esaltati hanno lo stesso sorriso dell´assassino di Rabin.
"Il centro commerciale nella parte sud di Gerusalemme brulica di folla, questo venerdì mattina. Mi perquisiscono tre volte. Tutti hanno un´aria angosciata e sconvolta. Ciò nonostante a Gerusalemme il sole brilla in questa bella mattinata d´autunno e dal fioraio si trovano già gli anemoni".
Suad: "Non saprei dire che cosa esattamente abbia provocato i forti dolori che ho avvertito tutta la giornata di venerdì, se è stato l´aver visto quel gran muro di cemento, o Abou Mohammad che piantava degli olivi a ridosso del muro, o la tristezza funerea dello sguardo della leonessa... Con l´animo turbato e il corpo spossato ho fatto la spola tra il letto e il computer, per rendervi partecipi del mio diario della settimana appena trascorsa. E´ evidente che gli elicotteri israeliani che hanno ronzato nel cielo di Ramallah per ore e ore non mi hanno affatto facilitato il lavoro, né hanno lenito la morsa che sento allo stomaco".
Traduzione di Anna Bissanti (c) Nouvel Observateur
Sharon e mia suocera di Suad Amiry
Riuscite a immaginare qualcosa di più feroce e devastante dell'occupazione militare del vostro paese e di un severo coprifuoco imposto per mesi alla vostra città? Sembrerebbe d'obbligo una risposta negativa e invece Suad Amiry, palestinese di Ramallah e architetta, grazie a una mossa letteraria tot…