Gabriele Romagnoli: Saddam. Sollievo e stupore nel mondo arabo. "Poteva morire combattendo"

15 Dicembre 2003
Hanno catturato vivo un uomo di 66 anni e ucciso una leggenda di appena otto mesi che avrebbe potuto crescere e infestare l´immaginario arabo. Saddam è vivo, è prigioniero e, proprio per questo, ha abdicato definitivamente: con la caduta di Bagdad al potere, con la resa nella buca alla mitologia dove avrebbe potuto sopravvivere in eterno.
Per capire la reazione araba alla cattura di Saddam bisogna partire da un sondaggio televisivo. Lo sta conducendo il Middle East Channel che, da Dubai, irradia trasmissioni in tutto il Medio Oriente. Ha acquistato un format della Bbc, un´idea semplice: "Il più grande di tutti i tempi", là inglese, qui arabo. Il pubblico vota inizialmente suggerendo tre nomi, per comporre una lista di cento. Un secondo turno elegge i top ten, a ognuno dei quali viene dedicato un documentario, dopodichè si sceglie, a maggioranza democratica, come per nessun capo di Stato locale accade, il più grande. Ebbene, fino a ieri i più votati, più dell´attore Omar Sharif e del presidente Nasser, più dello scrittore Naguib Mahfouz e della cantante Um Kaltoum, perfino più del fondatore della casa Saud (che, insieme con il cugino, nel 1928 sedò la rivolta della tribù Mutair tagliando 268 teste nella pubblica piazza di Artawaya), erano due: Osama bin Laden e Saddam Hussein.
Che Osama sia un mito è storia nota. Saddam lo stava diventando, involontariamente, ma ci stava riuscendo, dal giorno della sua estromissione dal potere e, soprattutto, della sua scomparsa. Il rais al potere era un uomo che pochi, interessati e beneficiati, amavano. Era il despota che aveva rivolto le armi contro il proprio popolo, massacrando sciiti e gassando curdi, uccidendo anche sunniti come lui, se gli si opponevano. Era colui che aveva attaccato altri Paesi islamici, Iran prima e Kuwait poi, provocando l´intervento occidentale. Gli altri capi di Stato arabi lo detestavano, la gente comune mai avrebbe voluto esserne governata, gli estremisti islamici lo disprezzavano perché "pessimo musulmano". Quel poco di consenso che aveva, Saddam se l´era comprato: mandando soldi alle famiglie dei kamikaze palestinesi, a cosiddetti intellettuali che facevano opinione soltanto nei caffè, a organizzazioni terroristiche che avevano ben altri e più solidi finanziatori.
Poi è arrivata l´invasione dell´Iraq e le cose sono cambiate. Il sentimento anti-americano porta nel cuore di chi lo prova anche l´ultimo dei satrapi, purché abbia il merito di opporsi all´Impero. Avviliti dalla condiscendenza dei loro rais e sceicchi, gli arabi hanno guardato a Saddam per disperazione. Paradossalmente, la sua estromissione dal potere ne ha aumentato la statura: è allora che è cominciato il mito. Perché Saddam è scomparso, mentre la lotta continuava. Da domani capiremo quanta parte avesse in quel movimento di guerriglia che mai ha agito in suo nome. Quel che sappiamo è che nell´assenza era, per molti lievitato, come solo i fantasmi sanno fare. Il combattente invisibile è il mito arabo per eccellenza. In Egitto raccontano la leggenda di un mujahiddin chiamato "Figlio del Nilo" che da anni combatte in tutte le guerre uccidendo centinaia di infedeli. Nessuno l´ha mai visto, ma prima o poi si manifesterà, assicurano. Lo stesso Osama appartiena a quella categoria: probabilmente è morto, ma continua la lotta, la ispira proprio perché non può essere catturato. E un giorno, anche lui, si manifesterà, come il dodicesimo profeta scomparso, come l´ayatollah sciita libanese scomparso in Libia da più di vent´anni e di cui si celebra ogni anno la ricorrenza, aspettando che lui stesso vi prenda parte.
Sparendo, Saddam si era idealmente iscritto a quel circolo di eletti. Riparando in quella fattoria vicino alla sua città natale, scavando quella buca dove nascondersi, aveva seguito le istruzioni per la "riconversione" contenute in un documento inviato dall´Esercito di Maometto agli ex baathisti: "Fatevi perdonare, fatevi vedere umili, spogliati di potere e ricchezze, mescolatevi alla gente che ha sofferto, mostrate che è colpa degli americani, che voi siete ridotti come loro, riconquistate fiducia e rispetto, morite per loro e loro moriranno per voi". Visibile o invisibile Saddam stava diventando altro dal proprio passato, anche se tutto quel che voleva era riprenderselo.
Poi ha commesso un errore fatale. L´errore non è stato farsi catturare, ma farsi prendere vivo. Qualche giorno prima dello scoppio della guerra, in un hotel del Cairo, Ali Salem, uno scrittore egiziano boicottato per le sue idee considerate filo-israeliane, uno che odia Saddam come una malattia, mi fece questa profezia: "Non si arrenderà mai: ha vissuto con un´arma in mano, morirà con un´arma in mano". Nella buca aveva con sé l´arma, ha sentito il nemico avvicinarsi, ma non l´ha usata contro se stesso, come avrebbe dovuto per non diventare un altro tiranno deposto che il suo stesso popolo giustizia con motivato disprezzo e feroce entusiasmo, senza neppure essere stato capace di cacciarlo da sé (e proprio questo è il rimpianto ricorrente tra gli arabi: "Almeno l´avessero preso loro, non gli americani").
Ci sono due immagini che fotografano la reazione del cosidetto mondo arabo alla cattura di Saddam: una è la faccia del segretario della Lega araba Amr Moussa che fa uscire dalla bocca parole di compiacimento ma esprime con lo sguardo lo sconcerto di tutto l´establishment che fu; l´altra è il volto sconsolato di Sadiq Hisam, 33enne tassista di Ramallah, che dice: "E´ una giornata nera, non perché Saddam fosse un grande arabo, ma perché era l´unico uomo che si è opposto all´America".

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …