Paolo Rumiz: Un reportage su un operaio vittima di un incidente sul lavoro

15 Dicembre 2003
Udine - Questo è l´album fotografico di una vita mancata. La vita che l´operaio Gabriele Simeoni, friulano di 23 anni, avrebbe vissuto se il 15 luglio una lastra di cemento non l´avesse schiacciato nel cantiere di lavoro. Poteva essere la semplice cronaca-denuncia di una morte annunciata, una delle tante nel Paese d´Europa segnato da più tragedie sul lavoro, l´Italia. Invece si è voluto costruire una cosa nuova. La moviola di un´assenza. La storia di un matrimonio non celebrato, del figlio non avuto, dei compagni non più rivisti.
Di Gabriele è rimasta solo la tuta da lavoro. Oggi quella tuta è diventata la protagonista di un racconto breve. Un´istantanea dopo l´altra, lo spaventapasseri color kaki attraversa il tempo presente, viaggia senza corpo né anima, pieno solo di vento. E´ lo spettro che grida un´assenza, accompagnato per un altro pezzo di strada da chi gli ha voluto bene; la ragazza del cuore, gli amici. Un urlo nel silenzio, che sfonda ogni ostacolo eretto dalla società dell´apparenza: l´assuefazione alle immagini choc, l´indifferenza al dolore altrui, la rimozione della morte.
Ecco le maniche vuote di Gabriele che si agitano tra altri giovani una sera in discoteca. Ecco Paola in abito bianco, davanti a un prete, che infila l´anello a una mano che non c´è. Ecco l´ombra dell´operaio che entra in un cimitero deserto e mette fiori alla tomba di se stessa, perché non ci saranno né figli né nipoti a ricordare chi passò. E ancora Paola e l´ombra di Gabriele che accompagnano un bambino al primo giorno di scuola, tenendolo per mano. E lei, ancora una volta, che abbraccia il nulla, prima di addormentarsi.
Doveva essere un reportage di accusa per i troppi incidenti sul lavoro, un modo per dire quanto è facile morire in cantiere e quanto bassa è la nostra percezione del pericolo. Ma statistiche e antinfortunistica non bastavano a Gianfranco Angelico Benvenuto, fotografo pubblicitario di Udine, cui l´Osservatorio per la prevenzione degli infortuni di Monfalcone (la provincia è quel record nazionale di incidenti) aveva chiesto un´idea. Così ha ribaltato il progetto: narrare non il "prima", ma il "dopo". Come nel film "Sliding doors", dove un destino si biforca per la semplice chiusura di una porta, sul treno di una metropolitana.
"Volevo far capire che non moriamo solo noi ma anche una rete di rapporti, di possibilità, di incontri", spiega Benvenuto. Un segnale forte in un mondo dove il lavoro iper-flessibile, interinale, subappaltato, extracomunitario, sta drammaticamente abbassando le soglie di sicurezza nelle fabbriche, nell´artigianato, nell´agricoltura. "Serviva la morte di un giovane, e non ahimè ho dovuto aspettare che accadesse". E´ arrivata la storia di Gabriele, e alla fine tutti hanno detto di sì. Inail, sindacati, casse edili, Confartigianato e Piccole e medie. E da oggi la piccola mostra fotografica girerà i cantieri del Nordest.
Non erano d´accordo, all´inizio, i genitori. Troppo recente la perdita dell´unico figlio, troppo forte l´intrusione nel privato del loro dolore. "Ma poi ho pensato che forse questa storia avrebbe potuto insegnare qualcosa", racconta il padre Gian Pietro, 55 anni, imprenditore nel ramo dell´ecologia. "Su questa iniziativa servirà a evitare anche un solo incidente, anche lieve, allora non sarà stato inutile". Ma dentro c´è ancora la rabbia. "Non illudiamoci, la pedagogia non basta, occorrono le sanzioni. Sanzioni dure, o la gente non si responsabilizzerà mai".
Racconta della notizia che arriva a ciel sereno, una sera, con una telefonata all´ora di cena. Poi l´arrivo in ospedale, la corsa nei corridoi vuoti, le attese col cuore in tumulto, la burocrazia. Infine, quel corpo dietro un paravento, svelato senza avere accanto nemmeno un cane. La vita che improvvisamente non è più niente, diventa rapporto di questura, statistica, numero, notizia di cronaca, e ti lascia solo in un binario morto. Solo davanti al tritacarne, senza futuro, nemmeno la consolazione di un nipotino.
Paola Degano è l´amica del cuore che ha accettato, con le lacrime agli occhi, di interpretare se stessa. Oggi è contenta, sente che è stato un modo di ricordare, di dare un senso a quel "vuoto pesante" che cinque mesi fa le si è aperto lì, sulla bocca dello stomaco, e talvolta sale in alto e le serra la gola a tradimento. "Mi manca - racconta - non solo ciò che non abbiamo potuto fare dopo, ma anche ciò che ci siamo lasciati scappare prima. Cose non dette, non fatte, non capite. Mille occasioni perdute". E infiniti dettagli che oggi diventano importanti. La pizza, le confidenze, le gite in campagna, la volta che munsero una mucca, i primi incontri in pullman andando a scuola.
Chi non riesce a sentir dolore è Roberto Massera, sindacalista della Cgil. "Ne ho viste troppe di queste storie - racconta - e ormai provo solo rabbia". Il suo corpaccione emana una stanchezza infinita. Dice che "la cultura della sicurezza è al tramonto, la mancanza di valore della vita si respira ovunque. Le persone non valgono più niente, e purtroppo oggi questa filosofia è la condizione del successo". Ricorda trent´anni fa, quando ai cantieri di Monfalcone morirono in sette e gli operai sfilarono con sette bare anziché con le bandiere rosse.
E´ completamente d´accordo con il padre di Gabriele: le mostre fotografiche non servono se poi manca la vigilanza e la repressione. "Le nuove leggi - insiste - smantellano quel poco di buono che era rimasto nelle aziende. Oggi la fabbrica è diventata irresponsabile". E racconta di un operaio sloveno inghiottito da un macchinario alla Fornaci Giuliane, di quattro operai schiacciati dalle barre d´acciaio o intossicati dai gas in pochi mesi alle acciaierie Bertoli. Oggi le statistiche dicono che la situazione migliora? Vero niente. Vuol dire solo che ci sono più clandestini e i clandestini non vanno all´ospedale. Si nascondono.
"La vita non vale più niente - picchia il padre di Gabriele - oggi ti rispettano solo per il tuo portafoglio, la tua automobile. Io da bambino giocavo scalzo nei prati ed ero felice. Non posso nemmeno pensare che il nipote che non avrò avrebbe dovuto mettersi scarpe firmate per fare le stessa cosa. Stiamo costruendo un mondo triste, irresponsabile, senza la cultura del rispetto. Si muore anche per questo".

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …

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