Gabriele Romagnoli: Un mondo a terra nel nostro futuro

07 Gennaio 2004
È un mondo a terra. Aerei delle grandi compagnie di bandiera non decollano, zavorrati dagli allarmi. Velivoli di piccole compagnie private precipitano a pochi minuti dal decollo, schiantati dal peso eccessivo o da un guasto misterioso. Gli aeroporti sono bloccati dagli scioperi o dalla paura di volare. Restare a terra è un' opzione per sopravvivere, ma anche, inevitabilmente, per vivere peggio. Il "mondo a terra" non è statisticamente più sicuro, ma è, in compenso, più diviso, arretrato e ignorante. Eppure minaccia di diventare il nostro futuro, così come è stato il nostro passato, quando era impossibile volare da Londra a Riad; nessuno andava a Bali e sulle carte geografiche neppure esisteva Sharm el Sheikh. Ci sono voluti decenni perché la mappa della Terra diventasse familiare se non a tutti a molti abitanti del pianeta. Carpentieri del Wisconsin e massaie del Polesine hanno volato verso Cancun o Marrakech, dando concretezza a luoghi dell' immaginario da cui provenivano esseri diversi chiamati "aliens" o extracomunitari, verificando che esistono altri, anche discutibili sistemi di vita. Affidandosi al turismo organizzato dei charter e dei villaggi avranno visto poco, ma quel poco era comunque un preferibile al niente dei preconcetti stanziali. Scrivo queste righe da uno sperduto villaggio di case costruite col fango nel cuore dello Yemen, dove nel pomeriggio ho visto approdare una carovana di turisti italiani. Per quanto improbabili negli atteggiamenti, il fatto di aver volato fin qui li costringerà a diffondere la notizia che lo Yemen non è più pericoloso di Padova dopo il tramonto, non è incivile, ha semplicemente un' altra civiltà e i suoi abitanti, benché musulmani, non ci odiano, anzi. Vale anche l' effetto opposto: a chi è nato qui e difficilmente se ne sposterà mai, l' arrivo di quel volo ha consentito di vedere com' è fatta una altrimenti misteriosa tribù di cui si sapeva soltanto che gioca a palla e canta. Anche loro capiranno poco, ma sarà comunque un passo. Nel "mondo a terra", invece, nessuno si avvicina a nessuno, ognuno resta a casa con i suoi pregiudizi e la sua televisione come unico finestrino sul mondo. è esattamente lo scenario desiderato dagli strateghi del terrorismo: un pianeta di frontiere invalicabili oltre le quali fantasticare di demoni e diavolerie. Per loro le immagini degli aerei British Arwais o Air France fermi sulle piste di decollo, con le perdite conseguenti, sono trionfali: rappresentano attentati riusciti senza neppure la morte di un kamikaze. Ma c' era, sugli schermi televisivi di ieri, una seconda immagine ricorrente, che faceva da preludio al "mondo a terra". Era quella di una ciabatta galleggiante a largo della costa egiziana. Apparteneva a uno dei turisti francesi morti sul charter precipitato. «Nessun attentato», assicurano le autorità egiziane. E bisogna crederlo, anche se la forma più efficace di antiterrorismo è la negazione degli effetti del terrorismo. Resta la paura che incidenti come questo lasciano nella scia. è una sensazione giustificabile. L' economia globalizzata dei grandi numeri ha bisogno di spostare uomini e merci dall' Inghilterra all' Arabia Saudita e manodopera libanese in Benin. Scoperta una nuova località turistica non si accontenta del colpo, vuole il boom: costruisce troppi hotel e aeroporti nel deserto, con troppi voli, farciti da troppi turisti. La stessa sicurezza a cui viene sacrificata anche la libertà e la lotta al terrorismo diventa un optional quando si tratta di concedere licenze per il cielo. Ai passeggeri in eccesso imbarcati sull' aereo mai arrivato a Beirut era stato offerto, terminati i posti sulle poltrone cucite da un sarto di Cotonou, uno sgabello. Ci sono tragedie più annunciate delle partenze all' altoparlante. E altre che restano misteri: da Ustica al volo Twa 800, al suicidio del pilota Egypt Air, troppo spesso quando cade un aereo porta con sé la storia della sua fine. Il coraggio non serve solo per volare, ma anche per dire la verità e per tenere a terra chi non merita di alzarsi. Altrimenti, rischiamo di restarci tutti.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …