Giulietto Chiesa: Sempre meno occidentale la critica del Social Forum
23 Gennaio 2004
Il quarto Forum Sociale Mondiale è finito ieri. Viva Mumbai (un tempo Bombay) che l'ha ospitato e che, involontariamente, ha fatto giustizia di molti luoghi comuni che hanno circondato il movimento «no global» fin dal suo inizio, nel lontanissimo 1999 di Seattle. In questi sei giorni di dibattiti infuocati, di incontri inediti, è emerso che questo movimento è assai più globale di quanto non si fosse pensato. E’ assai meno «occidentale» di come lo considerassero perfino molti di quelli che l'hanno tenuto a battesimo. E’ assai meno giovanile e molto più trasversale. Nel senso che contiene molte più opzioni critiche nei confronti della globalizzazione e anche diverse varianti aggiuntive all'idea di un suo governo. Insomma, è un sacco di cose nuove sulle quali gli stessi leader (ma si può dire, dopo Mumbai, che ci sono dei leader di questo movimento?) dovranno cominciare a riflettere in modo nuovo. Molto probabilmente, se non con certezza, l'anno prossimo si tornerà a Porto Alegre, Brasile, dove c'è l'appoggio molto determinato del governo brasiliano e del suo profeta, il presidente Inacio Lula da Silva, oltre che di qualche dirigente europeo, come il presidente francese Jacques Chirac, che vede con favore ogni forma di pluralità. Ma, anche se si torna sotto l'ala protettrice del capo del governo brasiliano - che significa anche un discreto quantitativo di denaro per organizzare questo mega festival di tutte le politiche mondiali (salvo quella del Fondo Monetario Internazionale e del consenso washingtoniano) - in ogni caso bisognerà fare di tutto perché ci siano, nel 2005, molti di quelli che sono arrivati fino a Mumbai nel 2004. E i panel di discussione dovranno essere costruiti in modo che ci siano, tra gli oratori, tutti questi nomi sconosciuti (a noi europei), e tutte quelle lingue sconosciute (a noi europei), e tutte quelle forme di espressioni sconosciute (a noi europei) ma che hanno permesso una comunicazione anche tra i passanti dei viali di Goregaon, molti dei quali non avevano mai sentito parlare in hindi, o in marathi, o in tamil, bengali, malayalam, tibetano, burmese e via elencando a non finire. Allargandosi a culture completamente diverse da quelle di partenza, il movimento di Seattle ha triturato l'idea che vi si ritrovino solo degli sradicati chiaccheroni e/o devianti. E non solo perché qui c'erano due premi Nobel come Joseph Sitglitz (che, si può dire, fino a ieri era uno dei dirigenti della Banca Mondiale e che è stato uno dei consiglieri economici di Bill Clinton) o come l'iraniana Shirin Ebadi, o altri nomi che risuonano ormai stabilmente in questi incontri, come Medha Patkar, Arundhati Roy, Aruna Roy, Immanuel Wallerstein, Walden Bello, Samir Amin. Il dato emerso, ormai chiaramente, è che questo carnevale mondiale di tutte le diversità - non solo dei diseredati che non hanno nulla da perdere - è parte integrante del panorama democratico e trasformatore del pianeta. E che i centri dirigenti della Terra non potranno più prescindere da ciò che viene discusso e agitato nei Social Forum mentre conducono i necessari processi di autocritica circa il modo in cui è stata gestita la globalizzazione negli ultimi trent'anni. Ne emerge un'immagine del Social Forum al tempo stesso più rassicurante (per alcuni), e minacciosa (per altri). Questi ultimi preferirebbero avere a che fare piuttosto con demolitori di vetrine che non dover rispondere a domande che si vanno facendo sempre più precise.
Giulietto Chiesa
Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …