Umberto Galimberti: Fate del dialogo con gli altri la vostra guerra per la verità

23 Gennaio 2004
Diffido sempre dei metodi e delle pratiche desunte dalla cultura e dalla filosofia orientale per risolvere problemi e condizioni d' esistenza di noi occidentali. Solo la nostra mentalità da supermercato o da discount può farci ritenere che su qualunque bancarella, non importa da dove venga e cosa venda, ci sia qualcosa di utilizzabile per noi. Dopo lo yoga, dopo la meditazione buddhista, ora è la verità di Gandhi, che insegna a tutti noi come risolvere i conflitti, e a manager e dirigenti l' arte della dolcezza e del rilassamento. Diffido. A meno che non si faccia uno sforzo preliminare per entrare nella simbolica dell' altro, anche se questo dovesse costarci il sacrificio della nostra simbolica. Chiamo «simbolica» la visione che ciascuno di noi ha del mondo per il fatto di essere nato in una regione invece che in un' altra, da certi genitori invece che da altri, per il fatto di aver ricevuto una certa educazione, compiuto certe esperienze, maturato certe idee, praticato una certa fede, vissuto certi affetti. La simbolica esprime la nostra identità profonda, persa la quale, non sappiamo più chi siamo. In essa non c' è nulla di razionale, perché nei suoi tratti profondi si è costituita prima dell' uso della ragione. Ci innamoriamo non perché qualcuno è bello, intelligente, simpatico, interessante, ma perché è riuscito a toccare la nostra simbolica. Comprendiamo il folle non perché siamo in grado di inquadrarne il delirio, ma perché catturiamo il centro della sua simbolica, a partire dal quale tutte le sue manifestazioni, che prima ci apparivano deliranti, ora ci appaiono armoniche e conseguenti alla sua simbolica. Posso comprendere uno che appartiene ad un' altra cultura non perché con lui parlo con quel passe-partout linguistico che è l' inglese, ma perché ho colto la simbolica della sua cultura, a partire dalla quale mi diventa comprensibile quello che prima mi appariva incomprensibile. Per questo occorre il dialogo, che non è assolutamente una cosa dolce, rilassante, tranquilla, perché il dialogo è guerra. La parola «dia-logo», come tutte le parole greche che cominciano per «dia», indica la massima distanza tra due punti della circonferenza come nel caso del dia-metro, tra due posizioni di pensiero diametralmente opposte come nel caso del dia-logo. Per questo Eraclito poteva dire: «Il logos è guerra» , perché è «armonia» di opposti contrastanti che si compongono attraverso il dia-logo, dove gli opposti si fronteggiano. Si fronteggiano per capirsi, non per elidersi. Per questo ci vuole «tolleranza» che non significa tollerare la posizione dell' altro restando convinti che la nostra è quella giusta, ma ipotizzare che la posizione dell' altro possieda un grado di verità superiore al nostro, e quindi disporsi, nel confronto con l' altro, a lasciarsi modificare dall' altro. Modificare profondamente, mettendo in gioco la nostra simbolica, fino a farcela contaminare dalla simbolica altrui. Per risolvere i conflitti questo mi pare sia il suggerimento di Gandhi, per altro già praticato duemila anni orsono da Socrate e da Platone nei suoi dialoghi, dove la verità emerge dal confronto dialogico dei pareri. Il parere dell' altro infatti, se accolto, relativizza il nostro, ci libera dall' isolamento del nostro assolutismo, completa la verità che non è mai tutta da una parte, e rende i rapporti più rilassati, perché gli altri, quando rivendicano le loro ragioni, ciò che in realtà vogliono è di essere considerati, di essere accolti, di sapere che per l' interlocutore esistono e sono degni di ascolto.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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