Giorgio Bocca: Nuto Revelli, una vita per testimoniare la storia

10 Febbraio 2004
«Ha sentito? E' morto Nuto Revelli». Ho sentito. «Lo conosceva?». Sì, certo. Stessa città, Cuneo, stessa lunga età, stesso reggimento alpini, il secondo, stessa guerra quella fascista, persa. Stessa banda partigiana, Italia libera di Giustizia e Libertà, stessa passione per la storia di casa nostra, stessi rimpianti, stessa amarezza. «E allora che cosa può dirci di lui?». Era uno di quei personaggi piemontesi che più ci pensi e più ti appaiono imprevedibili, indefinibili. Comunque mi proverò. Per cominciare era uno che si interessa agli umili, nella tradizione dei santi piemontesi, voglio dire uno che senza respingere la storia aristocratica, militare del suo paese, sente però un fortissimo interesse per l' altra faccia della sua storia, per quelli "che nome non hanno" i contadini, i vinti, i dispersi, i poveri. Lo stesso interesse dei santi sociali del Risorgimento, alla don Bosco, alla Cottolengo, non di compassione ma di giustizia. C' erano anche loro, il grosso della pena, della resistenza, della sopravvivenza è stato fatto da loro, noi ci siamo perché c' erano loro. E qui esce fuori l' imprevedibile di Nuto: il ricercatore storico quasi unico nel nostro paese, serio, metodico, instancabile. Faccio un esempio. Viene a sapere che nella campagna di Cuneo circola una favola militare, come altre lasciate dai soldati stranieri arrivati nella città dei sette assedi, la favola del "tedesco buono". Da cosa può partire? Da un lembo di camicia bianca rimasto impigliato in un cespuglio sul greto del torrente Gesso, vicino alla città. E' tutto ciò che resta del "tedesco buono" amico dei contadini. Nessuno ricorda il suo nome, da dove venisse, chi lo ha ucciso e che interesse possa avere la sua storia nel pandemonio della guerra partigiana. Ma Nuto si aggrappa a quel lembo di camicia bianca e non lo molla più, trova il nome del "tedesco buono", la sua città Warburg, i suoi parenti, trova anche i tre partigiani che lo hanno ucciso, casualmente trovandoselo di fronte all' improvviso. Solo di questi tre non farà il nome nel libro Il disperso di Warburg. L' ho conosciuto bene Nuto? Sì e no. Bene come un compagno di vita, non come uno dalla complessità difficilmente prevedibile, comprensibile. Un comandante partigiano stampato, indiscutibile, coraggioso e calmo, audace e riflessivo, robusto, alto, quello che ti fa sentir sicuro anche quando sei braccato, circondato, una fine testa politica ma alla fine della guerra quando tutti cercano scorciatoie alle loro ambizioni ti dicono che ha messo su un magazzino di ferramenta, che campa del suo commerciando ferro. Non per diventare un padroncino ma per poter continuare a scoprire la storia degli umili. La storia dei soldati morti o dispersi in Russia, quelli della atroce ritirata di La strada del Davai, li aveva ancora negli occhi ma come documentarsi su quelli de L' ultimo fronte su tutti gli altri? La fortuna a volte premia i perseveranti. Viene a sapere che il distretto militare di Cuneo sta per vendere a una industria grafica di Borgo San Dalmazzo, come carta straccia dodici sacchi di lettere di combattenti ai loro familiari, fermate alla censura e comunque non inoltrate. Le userà per L' ultimo fronte e alla intimazione di un generale di consegnarle all' archivio militare, risponde: «Le ho comperate per renderle note invece che mandarle come voi al macero». Non aveva nessuna voglia di fare il politico Nuto ma aveva una fine testa politica. Aveva capito per dire ciò che storici e politici di chiara fama non avevano mai capito, che le vere protagoniste della cultura contadina erano le donne le «reggiore» dell' economia, «l' anello forte» di una società povera ed emarginata, le custodi delle memorie. L' Anello forte è dell' 85. La ricerca di Nuto, instancabile, quotidiana durava da quaranta anni e sarebbe continuata fino a che le forze lo avrebbero sorretto. Degli scrittori piemontesi e in particolare cuneesi, Nuto aveva come Einaudi, Gorresio, Fenoglio, Arpino, Cordero, Bianco, Bobbio la necessità di scrivere l' italiano come una lingua straniera, diversa dal piemontese materno. Mai di getto, mai ribollente come l' acqua che corre, sempre in certo modo controllata classica per chiarezza e per impianto. Come era toccato agli Alfieri, ai Balbo, ai Solaro, ai Robilant, ai «consiglieri» dei principi sabaudi di lingua francese. Politicamente Nuto, come la maggior parte di noi formati nella guerra partigiana era di testa quadra, per dire fermi nella scelta del settembre ' 43, ma non ingenui, non esenti dalle delusioni della storia. Decisi però a non tradire la nostra. Ex partigiani, figli e nipoti, cittadini memori ricordano oggi Nuto davanti al monumento alla Resistenza. Poi chi vuole, va al cimitero, alle basse di Stura.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …