La femminista: un articolo intorno a Elisabeth Badinter
11 Marzo 2004
Curioso, il destino della femminista. Sempre fuori luogo, sempre colpita
dallo stigma del ridicolo. Nel luglio scorso il Guardian pubblicava i
risultati di un’inchiesta tra le giovanissime in Gran Bretagna, effettuata per
conto della commissione per le pari opportunità, in occasione dei 75 anni della
concessione del voto alle donne."Le femministe sono delle rompipalle
fuorimoda" era uno dei commenti, "femminista ormai è datato come
suffragetta", un altro. Interessante l’intervento di una lettrice del
quotidiano inglese: "Penso che il femminismo sarebbe attraente per le
ragazzine solo se fosse proposto da un pancino nudo con l’ombelico in vista.
Perché no? In fondo la moda ora non si ispira agli anni settanta?". Cioè
all’epoca nostra, delle femministe, sottintende la lettrice, citata a memoria.
Che di trasparenze, nudità, trasgressioni, sapevamo qualcosa. E con saggezza
spende una parola contro il più persistente degli stereotipi, la femminista
baffuta. Cioè la donna senza grazia, senza seduzione, la donna senza donna, la
donna-uomo. E’ una condanna antica. Perseguitò le suffragette dell’
Ottocento. Si è rovesciata sulle femministe degli anni settanta. Contro l’evidenza
del corpo femminile, liberato e seduttivo, al centro della scena sociale. Mi
colpisce il carattere atemporale di questa maschera, scagliata come un’anatema
contro l’autonomia femminile. "Non sarai mica una femminista!", è l’ostacolo
gettato ancora oggi contro le donne che discutono l’assetto del mondo. Nelle
relazioni amorose con gli uomini, nel lavoro, nella vita quotidiana. E’ un
ingorgo della comunicazione, un sovraccarico di senso. Una dice che non capisce
perché, a parità di lavoro, il suo stipendio è inferiore a quello dei
colleghi. O si chiede se è solo un destino personale se gli uomini che incontra
"non vogliono responsabilità". O semplicemente non accetta di
ascoltare in silenzio. Come ancora succede, nelle coppie giovani. Eccola, la
femminista. Il bau-bau. Non sei più la fanciulla in fiore a cui nessuno
resiste. Sei la vecchia befana, sei rancida, putrefatta, nessuno ti desidererà.
Mai più. Potenza delle icone. Sovradeterminazione dell’immaginario sociale.
Immateriale come il "comunista" evocato da Berlusconi, il fantasma
della femminista non è mai benevolo. Dura, rigida, censoria. E’ la nemica.
Degli uomini. Delle donne che li amano. Secca, sterile, senza vita. Con appena
qualche cautela di linguaggio, nel suo ultimo libro, La strada degli errori,
Elisabeth Badinter si oppone alle "femministe rigoriste".
Eppure "la femminista" è onnipotente. Nata dalla paura e dall’odio degli uomini, si alimenta anche del rancore delle donne. Delle femministe. Verso le altre. E’ la compagna segreta, l’ombra in cui è facile tornare. E’ il sogno di controllo universale, di repressione dei desideri. E’ il sogno di tenere tutto fermo. Immobile. Altro che ombelico e pancini al vento, altro che ragazzine alla scoperta del proprio potere sessuale. Nel tempo l’ho vista procedere accanto al movimento. Più o meno in luce. A volte fin troppo protettiva, un’armatura da indossare per giudicare tutte. Quasi sempre l’ombra a cui fare lo sberleffo, da irridere con la grazia di colori, gioielli, parole affilate. La tentazione è tenerla in vita, se c’è lei, esistiamo anche noi. Prendere la parola nello spazio pubblico condiviso da donne e uomini è sempre fare i conti con "la femminista". Tra donne e uomini. Tra generazioni diverse. Tra donne e donne. La considero l’ostacolo maggiore a comunicare il femminismo.
Eppure "la femminista" è onnipotente. Nata dalla paura e dall’odio degli uomini, si alimenta anche del rancore delle donne. Delle femministe. Verso le altre. E’ la compagna segreta, l’ombra in cui è facile tornare. E’ il sogno di controllo universale, di repressione dei desideri. E’ il sogno di tenere tutto fermo. Immobile. Altro che ombelico e pancini al vento, altro che ragazzine alla scoperta del proprio potere sessuale. Nel tempo l’ho vista procedere accanto al movimento. Più o meno in luce. A volte fin troppo protettiva, un’armatura da indossare per giudicare tutte. Quasi sempre l’ombra a cui fare lo sberleffo, da irridere con la grazia di colori, gioielli, parole affilate. La tentazione è tenerla in vita, se c’è lei, esistiamo anche noi. Prendere la parola nello spazio pubblico condiviso da donne e uomini è sempre fare i conti con "la femminista". Tra donne e uomini. Tra generazioni diverse. Tra donne e donne. La considero l’ostacolo maggiore a comunicare il femminismo.
La strada degli errori di Elisabeth Badinter
La strada degli errori contesta al movimento femminista di essersi asserragliato nel separatismo e nella lotta contro il sesso maschile, abbandonando l’universalismo e la rivendicazione dei pari diritti, ancora molto lontana dal pieno successo. Per la Badinter il separatismo (e il conseguente v…