Lorenzo Cremonesi: Nassiriya, un giorno di guerra.Feriti 11 bersaglieri
08 Aprile 2004
Prima i ponti, poi la città intera. Inizia prima dell' alba con uno scontro a fuoco per il controllo dei tre ponti sull' Eufrate la battaglia dei bersaglieri a Nassiriya. Battaglia vera, con l' uso di cingolati, mitragliatrici pesanti, mortai e armi anticarro, micidiali nelle mani delle milizie dell' estremista sciita Moqtada Al Sadr. La giornata più grave per i circa 3.000 uomini del contingente italiano dall' attentato del 12 novembre. Alla fine tra i soldati si contano 11 feriti (3 colpiti da armi da fuoco alle gambe, gli altri da schegge o rimasti contusi). I morti iracheni sono una quindicina, tra cui gli ospedali locali segnalano almeno una donna e due bambini. La giornata si conclude in una sorta di traballante tregua dopo lunghe trattative tra i rappresentanti italiani sul posto e i notabili locali. Obiettivo della tregua: consentire alla stessa popolazione irachena di disarmare i rivoltosi di Nassiriya. Ma la situazione resta esplosiva, resa ancora più grave dal sequestro da parte dei rivoltosi di due volontari sud-coreani di un' organizzazione umanitaria (poi rilasciati) e le voci persistenti di scontri isolati in periferia. «Verso le quattro di notte (le due in Italia, ndr) sono iniziati i combattimenti presso i ponti. Abbiamo sentito sparare a lungo. Poi lo scontro si è allargato, anche con armi pesanti», racconta Franco Corbani, ingegnere che lavora presso la Cpa (l' autorità provvisoria), al momento governata dall' italiana Barbara Contini. La scelta dei ponti è scontata. Da tempo gli attivisti di Moqtada, guidati dal leader locale Aus al Kharfaji, ne fanno il fiore all' occhiello della loro campagna contro gli italiani. Iniziò dopo l' attentato del 12 novembre contro la base dei carabinieri di «Animal House». Allora la scelta italiana di chiudere il ponte di al-Zeitun, che collegava la palazzina colpita con quella della base Libeccio (sempre dei carabinieri) sulla riva opposta dell' Eufrate, divenne oggetto degli strali violentissimi contro «l' occupazione italiana» pronunciati da Kharfaji durante i sermoni settimanali del venerdì. Sermoni pubblici, pronunciati a una folla sempre più numerosa (un mese fa avevamo contato sino a 3.000 persone), alimentata dalla rabbia per la povertà, le speranze deluse, le lentezze della ricostruzione. «Gli italiani devono andarsene. Sono dei codardi, scappano nelle loro basi fuori dalla città e cercano di convertire i nostri bambini, violentare le nostre donne», gridava l' imam approfittando anche del malcontento per le lunghe code di auto e i problemi alla viabilità generati dalla chiusura dello al-Zeitun. In gennaio e febbraio le organizzazioni studentesche legate ai gruppi islamici avevano anche istigato numerose manifestazioni. Ieri a loro si sono affiancate gruppi di criminali, magari gli stessi che avevano rubato mitra, pistole e munizioni dalla base italiana devastata dall' attentato. Il banditismo e l' insicurezza sono in crescita per tutta la regione. Si spiega così il carattere confuso e disorganizzato delle scaramucce proseguite per molte ore. Verso le otto della mattina vengono feriti 6 bersaglieri della Task Force Eleven (distaccata presso la base di White Horse fuori Nassiriya e composta anche da uomini del Savoia Cavalleria e delle forze speciali di esercito e marina). Anche la base della Cpa, controllata da una trentina di uomini della brigata Ariete, è oggetto di sventagliate di mitra sparate da auto in corsa. Poco prima delle dieci il generale Giammarco Chiarini, comandante dell' italian joint task force, e Barbara Contini incontrano i massimi leader tribali e religiosi, incluso lo stesso Kharfaji. Lo stesso presidente ha avuto due colloqui telefonici con la Contini per sincerarsi della situazione. Da tempo il leader delle milizie sciite, Moqtada Al Sadr, avrebbe voluto che il suo rappresentante venisse riconosciuto quale legittimo interlocutore. Intanto i bersaglieri dell' Undicesimo reggimento riprendono il controllo dei ponti. «Abbiamo preso due ponti - dice il generale Chiarini - mentre sul terzo abbiamo dovuto desistere perché hanno mandato avanti donne e bambini. Di quel ponte, quindi, controlliamo solo la sponda Sud». Il braccio di ferro si fa più teso alle 16. «Abbiamo catturato due sud-coreani. Non li libereremo se gli italiani non lasceranno Nassiriya», minacciano. Ma la risposta italiana è altrettanto ferma. «Nessun ultimatum. Non ce ne andremo da qui», replicano. La preoccupazione diminuisce quando giunge la notizia della liberazione dei due. Ma la crisi resta aperta. «La città è morta. Tutta la popolazione resta barricata in casa», dicono le televisioni locali. Viene rafforzato il presidio attorno alle palazzine già super-protette da cemento, sacchetti di sabbia e fili spinati del Cpa. Anche i bersaglieri si trincerano ai posti di blocco sui ponti. In serata, intorno alle 18, dal terzo ponte sull' Eufrate si sentono di nuovo colpi di arma da fuoco. «Su un lato si erano radunate un centinaio di persone - racconta al telefono da Nassiriya Rosanna Santoro, inviata del programma di RaiUno Porta a Porta - molto probabilmente tutti uomini, armati di kalashnikov, razzi a spalla Rpg, mortai, e protetti da barriere di sassi e filo spinato». Colpi sparati in aria, gli italiani che avanzano a bordo di una quindicina di mezzi corazzati. Una prova di forza durata qualche ora. Al momento non si segnalano feriti. Nella notte a dare il cambio agli italiani sono arrivati i cingolati del contingente romeno. Intanto le autorità militari predispongono gli aerei per l' evacuazione veloce dei soldati feriti, che vengono fatti rientrare in Italia. I racconti di chi, fra i nostri militari, è rimasto ferito sono rimbalzati in Italia, durante le telefonate che i giovani hanno scambiato con le famiglie. Gli undici che hanno subìto ferite di striscio superficiali alle gambe o contusioni, sono stati ricoverati all' ospedale da campo italiano all' aeroporto di Tallil: per il più grave la prognosi è di 30 giorni. Cinque saranno rimpatriati tra oggi e domani. Raffaele Cataldi, 24 anni, di Terlizzi (Bari), dal febbraio scorso in Iraq, ha cercato di rassicurare la madre. «Le ha detto che è rimasto ferito a una gamba, ma che per il resto sta bene - ha raccontato il fratello Giuseppe -. Pare possa esserci la possibilità che venga trasferito a Roma». Altra storia quella del sottotenente Francesco Pupo, 27 anni, che, per non preoccupare i suoi, aveva raccontato di essere in Kosovo: i genitori hanno scoperto la vera destinazione del figlio quando hanno saputo che c' era anche lui fra i feriti. Ha telefonato a casa ieri, poco dopo gli scontri, anche il caporal maggiore dei bersaglieri Espedito Aliberti, 25 anni: «Cercate di non preoccuparvi».
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …