Giorgio Bocca: Il capitalismo dalla testa rotta

03 Maggio 2004
Quando in una società si incanaglia la tendenza a considerare i vizi normalità e i delitti comprensibili debolezze umane, l'anarchia è inevitabile. E i peccati di chi sta al vertice vengono non solo imitati, ma ammirati.
Dove si potrebbe trovare un comportamento più irresponsabile, fatuo, provocatorio di quello del capo del governo? Scompare per una ventina di giorni governando come Tiberio da una sua villa su un'isola. Non trova il tempo per visitare i nostri soldati a Nassirya, ma lo trova per farsi 'rifare' la faccia in una clinica svizzera, operazione ridicola e mediocre comunque la si osservi, sia come vanità personale sia come strumento elettorale.
Tornato a Roma si occupa poco, con manifesta indifferenza, dello stato fallimentare della nostra finanza, del sistema bancario, dell'industria, ma molto di quelli che un tempo chiamava 'i giochini' della politica, le richieste di verifiche, gli appetiti degli alleati, i ricatti di Bossi e si dedica appassionatamente alle celebrazioni del suo decennale.
Ce ne sarebbe quanto basta per rispedirlo ai suoi fruttuosi affari, ma l'incanagliamento di massa è ormai irreversibile, il disgusto, la esecrazione si mutano in ammirazione, uno dei suoi cortigiani annuncia che ci governerà nei prossimi trent'anni, cioè fino al raggiungimento centenario che è una adulazione contro natura, simile a quelle tributate a Stalin o a Nerone.
Lo scandalo Parmalat ha confermato una ferrea regola della corruzione dilagante: quando rubano i padroni rubano anche i collaboratori e i dipendenti. Negli ultimi giorni del fallimento della famiglia Rizzoli al 'Corriere della Sera', l'amministratore Tassan Din e i suoi aiutanti facevano a gara, come nella Parmalat di Tanzi, a moltiplicare le iniziative sbagliate per mangiarci su, ogni giorno veniva annunciato un progetto salvifico e intanto la dissipazione si ingrandiva.
Alla Parmalat la faccenda è durata 15 anni e ci saranno stati dei grandi affari sbagliati, ma c'erano anche centinaia di parenti, di dirigenti, di clienti che ci mangiavano su, come accade nelle terre di mafia, quando la lupara uccide e nel mucchio dei cadaveri si buttano anche le vendette personali.
Il modello Mafia si è ormai esteso a tutta l'Italia: si forma un accordo fra politica e delinquenza, la politica comperata dalla delinquenza la protegge, la concorrenza sleale della delinquenza provoca disastro nell'economia, saltano le regole naturali del mercato e si arriva inevitabilmente alle bancarotte.
Credevamo che Tangentopoli fosse una eccezione, ora sappiamo che è la norma, che grandi e piccoli crack come Parmalat stanno per emergere. Ma anche qui la reazione del sistema è di accettare il disastro come una normalità: così va il mondo, non fasciamoci la testa prima di essercela rotta. Ma è rotta e farla stare assieme è una sfida sempre più disperata.
Qual è la qualità di Berlusconi più apprezzata dagli italiani e da lui medesimo? L'ottimismo. Ma l'ottimismo non impedisce che l'Europa ci prenda a calci in faccia, l'ottimismo non risolve il problema in crescita della quarta settimana, cioè di come si fa a campare quando in una famiglia entrano poco più di mille euro al mese, quando lo scontento si allarga e ci sono dei legalisti mentecatti che vorrebbero multare i ferrotramvieri dello sciopero selvaggio con mille-1.500 euro, roba da far esplodere le città, roba da assalto ai forni.
Non è più tempo di rivoluzioni, dicono gli studiosi, l'idea di una sovversione violenta esiste solo in forma di utopia velleitaria, tutti si sono rassegnati al potere delle macchine intelligenti e dei loro padroni, ma attenti a non sottovalutare la follia del genere umano. Le fotografie aeree di Auschwitz sono di sessant'anni fa, ma quelle delle due torri di Manhattan di ieri.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …